Et in terra pax
2010
Paese
Italia
Genere
Drammatico
Durata
90 min.
Formato
Colore
Registi
Matteo Botrugno
Daniele Coluccini
Attori
Maurizio Tesei
Ughetta D'Onorascenzo
Michele Botrugno
Germano Gentile
Fabio Gomiero
Simone Crisari
Riccardo Flammini
Paolo Perinelli
Marco (Maurizio Tesei) esce dal carcere ma ricomincia presto a spacciare. Faustino (Michele Botrugno), Massimo (Germano Gentile) e Federico (Fabio Gomiero) sono tre ragazzini che vivono in maniera spavalda, sopra le righe, fuori da ogni regola. Punto in comune tra tutti loro è Sonia (Ughetta D'Onorascenza), che lavora nella bisca clandestina di Sergio (Paolo Perinelli). Sullo sfondo il Corviale di Roma.
Opera prima dei registi Matteo Botrugno e Daniele Coluccini, Et in terra pax è un film che sorprende e coglie impreparato lo spettatore, prendendolo moralmente a schiaffi per tutta la sua durata. Ambientato in un quartiere periferico di Roma, più precisamente nel tristemente famoso Corviale, edificio lungo un chilometro, ritrae la realtà architettonica, sociale e antropologica delle periferie di borgata: quella dei palazzoni abitati abusivamente o semi abbandonati, degli spacciatori sulle panchine, degli stupri, della difficile integrazione, dei mucchi di spazzatura, non certo quella dell’attico “vista Colosseo” di Jep Gambardella. Destreggiandosi in maniera abbastanza acerba e non sempre efficace tra le spire del neorealismo e le caratterizzazioni pasoliniane che vedono i personaggi in una logica di determinismo ambientale (vita di borgata = costrizione a un certo stile di vita, senza redenzione o vie d’uscita), i registi raccontano le vite dei protagonisti come storie parallele, seguendo una ideale e interessante “linea orizzontale” simile a quella del Corviale, per poi tessere la tela e intrecciando le storie tra loro. Gli angeli stanchi e terreni di Botrugno-Coluccini sono quanto di più lontano dalla religiosità annunciata nel titolo di un film molto più prosaico, irruento, che accompagna lo spettatore all’interno di un meccanismo di autodistruzione, senza intenti moralistici o conciliatori. Il finale, ineluttabile e atroce, è inquadrato in un’ottica di purificazione, non necessariamente benefica, ma imprescindibile, indispensabile e coerente con la totale assenza di giudizio (e di speranza) che caratterizza un film dove sacro e profano si mescolano fin dal titolo.
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