1987. Il wrestler Mark Shultz (Channing Tatum) viene convocato dal miliardario John Du Pont (Steve Carell) che intende finanziare la squadra olimpica di lotta e farla allenare presso la sua tenuta, Foxcatcher. Tra i due uomini nasce un'amicizia che sarà incrinata dall'arrivo del fratello di Mark, Dave (Mark Ruffalo), chiamato ad allenare il team messo in piedi da Du Pont. Il difficile rapporto tra i tre si logora lentamente e avrà esiti inaspettati.
Ispirato alla storia vera dello schizofrenico miliardario John Du Pont, il film di Bennett Miller è un'amara riflessione sulla dissoluzione del sogno americano rovesciato in un incubo a occhi aperti di paranoia e lucida follia. Sport e patriottismo, solitamente due cardini dell'american way of life, qui diventano strumenti rivelatori di un costante e opprimente senso di inadeguatezza e di una fragilità emotiva soffusa ma devastante. Inoltre il regista (anche grazie all'ottima sceneggiatura di Dan Futterman ed E. Max Frye) analizza l'endemico bisogno della società americana di trovare una forte figura di riferimento verso cui rivolgersi, un mentore/leader, e al contempo l'ossessiva necessità di sentirsi significativi e importanti per qualcuno, anche attraverso la mistificazione (si vedano il discorso che DuPont scrive per Mark e l'intervista combinata con Dave). Elegante e essenziale la regia, premiata al Festival di Cannes, che valorizza i tempi morti e i non detti (che fanno da contraltare alle esplosioni di rabbia di Mark o alle scene di lotta), creando una tensione latente, sottile e angosciante che dà al racconto un'atmosfera di ineluttabile e imminente tragedia. Straordinarie le prove dei tre attori: Steve Carell, alla prima interpretazione drammatica, è irriconoscibile e agghiacciante nei panni di un uomo potente ma solo e disperato, ma la vera rivelazione è un intenso e dolente Channing Tatum.