Chi era “lo svedese” (Burt Lancaster) e perché è stato ucciso? Perché quell'uomo, un ex pugile professionista diventato un criminale e infine un benzinaio, non ha provato a difendersi dall'agguato dei suoi assassini? Sono queste le domande che tormentano Jim Reardon (Edmond O'Brien), chiamato a investigare sul caso per conto di un'agenzia di assicurazioni. Ispirandosi a un racconto di Ernest Hemingway, ampiamente rimaneggiato in fase di sceneggiatura, Robert Siodmak ha tratto uno dei film più importanti della sua carriera e dell'intero filone noir che tanto andava di moda negli anni Quaranta. Forte di un incipit memorabile (che verrà ricordato, tanti anni dopo, da David Cronenberg in A History of Violence del 2005), I gangsters si sviluppa in una struttura narrativa a flashback attraverso la quale il regista tedesco gioca con lo spettatore, con le sue aspettative e con la consapevolezza che il personaggio dello “svedese” Ole Andersen ha un destino già segnato, di cui il pubblico è a conoscenza sin dall'inizio. Sfruttando al meglio la matrice letteraria di partenza, Siodmak ha dato vita a una potente riflessione sulla colpa, sull'espiazione e sull'impossibilità di sfuggire a un fato incontrovertibile. Di grande spessore psicologico, il film mette in campo tutti gli stilemi tipici del noir, a partire da una fascinosa dark lady interpretata da una Ava Gardner in stato di grazia; ma è impeccabile anche Burt Lancaster in una performance dolente e stratificata. Stilisticamente elegantissimo, la pellicola colpisce anche per le impressionanti riprese lunghe e per l'uso perfetto della profondità di campo: è l'opera della definitiva maturità di Siodmak, distribuita a pochi mesi di distanza dall'altrettanto splendido La scala a chiocciola (1945). Dallo stesso racconto di Hemingway trasse un lungometraggio anche Don Siegel: Contratto per uccidere del 1964.