Undici episodi sul tema del terrorismo e della lotta armata in Germania, all'indomani dell'assassinio del presidente degli industriali tedeschi, per denunciare il clima da "caccia alle streghe" che si ebbe a seguito di tale episodio.
Firmato da alcuni dei più importanti esponenti del Nuovo cinema tedesco, Germania in autunno è un film collettivo molto eterogeneo, che nonostante le buone intenzioni e la patina d'impegno civile si smarrisce in esiti troppo dissonanti gli uni dagli altri, che stonano e rendono l'opera fragile, approssimativa e interlocutoria. Soddisfano i lavori di Volker Schlöndorff e Alexander Kluge, che incentra uno degli episodi su un professore, ma l'unico frammento degno di nota, nonché il più lungo in termini di minutaggio, è quello di Rainer Werner Fassbinder: una messa a nudo di se stesso, anche in senso letterale, senza censure, che mostra il proprio corpo dedito agli eccessi, sbattendolo in faccia allo spettatore senza sconti di nessun tipo. Il regista tedesco, nonostante la provocazione, non innalza il livello complessivo dell'opera, e non è esente da un certo compiaciuto maledettismo. Il suo merito è quello di dare una scossa a un quadro d'insieme altrimenti inerte, apportando un punto di vista soggettivo accanto a produzioni decisamente asfittiche. Nel suo episodio ci sono: isterismo; omosessualità; schizofrenia; la madre Lilo Pempeit, spesso attrice nei suoi film; il compagno Armin Meier; conversazioni al telefono e riflessioni assortite. Tutto il caos indiscriminato di una vita prossima al collasso. Gli altri episodi hanno ben poco da dire.