Nel 1856 buona parte dell'India è sotto il dominio britannico, ma la regione di Oudh è ancora indipendente, governata da un re poeta e musicista (Amjad Khan). Due nobili del regno trascorrono le loro giornate giocando a scacchi, distratti dalle sfide anche quando la loro terra viene occupata dalle truppe inglesi. Raffinato dramma storico, inscenato in un ambiente culturalmente molto diverso da quello della maggior parte dei film di Ray. Lontano dal consueto Bengala e dell'Induismo, questa pellicola si svolge in un contesto musulmano, in una delle ultime aree dell'india settentrionale a cadere sotto la dominazione inglese. Tratto dalle pagine di Munshi Premchand, pone fin dal titolo l'accento sul gioco degli scacchi, invenzione rivendicata dall'India stessa e immagine della partita geopolitica in cui il paese è stato più volte costretto a subire le potenze coloniali. Due sono le tracce narrative che si sviluppano in parallelo: la partita a scacchi reale tra i due nobili e quella metaforica del sovrano incapace di opporre resistenza ai diktat inglesi. Entrambe si concludono con una sconfitta indiana, plasticamente rappresentata da Ray in una cornice di grande bellezza e totale, inerme immobilità storica. Lo stesso immobilismo a tratti pesa nelle dinamiche del film, e insieme a una certa verbosità lo rende piuttosto statico. È stata comunque una delle produzioni più costose nella carriera dell'autore, annoverando in un cast composto da attori indiani di prima grandezza anche Sir Richard Attenborough, impeccabile nel ruolo di un generale inglese.