Dopo aver visto morire uno sconosciuto, apparentemente suo coetaneo, sull'autobus, Cesare (Salvo Randone), stagnaio vedovo che da poco ha superato i cinquant'anni, è convinto di avere i giorni contati e per questo decide di abbandonare il lavoro e sistemare i nodi irrisolti della sua vita. Così Cesare inizia a frequentare mostre d'arte, vaga per aeroporti, cerca di riconquistare un vecchio amore di gioventù (Regina Bianchi), ritorna al paese natale. Ma il tentativo di dare una svolta alla propria esistenza riserverà all'uomo solo delusioni e amarezze. Opera seconda di Petri in cui il regista riflette sul senso di inadeguatezza di un uomo stanco, amareggiato e disilluso che sente di aver sacrificato la propria vita in nome del lavoro e ora cerca di godere di una libertà tanto agognata quanto effimera. La narrazione è episodica e frammentata, procede per accumulo di situazioni apparentemente marginali, mentre lo stile (che denota influenze neorealistiche ma anche dalla nouvelle vague francese, come mostra l'uso cospicuo della camera a mano) plasma cinematograficamente l'inquietudine del protagonista che si muove incerto e intimorito dinnanzi a una vita che gli sfugge e a un mondo con cui non riesce a sentirsi in sintonia. Il disagio esistenziale di Cesare è reso attraverso la splendida fotografia di Ennio Guarnieri che ottimizza ed esalta i toni oscuri e ombrosi della notte ma sfrutta anche la luce naturale del giorno per dare un senso di straniamento e sospensione tra una dimensione onirico-metafisica e la realtà quotidiana di una Roma egualmente caotica e spettrale. Un film malinconico e struggente anche grazie alla straordinaria prova di Salvo Randone, apprezzato caratterista e vero e proprio attore feticcio di Petri, qui in uno dei suoi rari ruoli da protagonista.