Antonio Buonocuore (Valerio Mastandrea), autista di un politico in disarmo (Valerio Binasco), non riesce ad accettare la separazione dalla moglie Emma (Isabella Ferrari), che spia e tormenta costantemente, e dai figli Valentina (Nicole Murgia) e Kevin (Gabriele Paolino). Nel frattempo la moglie del politico (Nicole Grimaudo) si innamora del suo figliastro (Federico Costantini) e Mara (Monica Guerritore), insegnante di Valentina, stringe amicizia con Emma.

Özpetek cambia genere e si dà al thriller sentimentale, adattando il romanzo di Melania Gaia Mazzucco (con la collaborazione alla sceneggiatura di Sandro Petraglia). Il risultato è un guazzabuglio amorfo, sospeso tra le venature mélo tipiche del cineasta italo-turco e un registro tragico che Özpetek dimostra di non avere nelle sue corde. Dramma e tensione si stemperano progressivamente, depotenziati da una serie di soluzioni banalizzanti e rivelatrici di un'allarmante pochezza di idee sempre legata a uno sguardo approssimativo sulla realtà e sulle dinamiche cinematografiche. Così la narrazione si perde tra divagazioni, sottotrame e personaggi male assortiti tra loro in un tentativo di racconto corale che mira a essere affresco di molteplici solitudini ma risulta appiattito e guastato da una sceneggiatura che colleziona dialoghi goffi, siparietti imbarazzanti e scene scult (lo stupro tra i boschi o lo sguardo in macchina finale), da una regia che vorrebbe essere invisibile e risulta semplicemente piatta e inerme, da un cast pessimo. Decisamente fuori parte Valerio Mastandrea (alla prova peggiore della carriera), schiavo di un personaggio monocorde; disastrosi quasi tutti gli altri interpreti con menzione in negativo per i bambini e per il micidiale terzetto composto da Isabella Ferrari, Nicole Grimaudo e Monica Guerritore, incapaci di regalare un'emozione (o un'espressione facciale degna di questo nome) nemmeno per sbaglio.