Giù la testa
1971
Rai Movie
Paese
Italia
Generi
Western, Avventura
Durata
157 min.
Formato
Colore
Regista
Sergio Leone
Attori
Rod Steiger
James Coburn
Romolo Valli
Franco Graziosi
Rik Battaglia
Maria Monti
Benito Stefanelli
Messico, 1913. Il terrorista irlandese John Mallory (James Coburn) si mette in combutta con il fuorilegge Juan Miranda (Rod Steiger) per rapinare una banca. I due si troveranno a combattere insieme ai rivoluzionari messicani, al fianco di Pancho Villa ed Emiliano Zapata.
«La Rivoluzione non è un pranzo di gala, non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo, non si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazia e cortesia. La Rivoluzione è un atto di violenza». Il pensiero di Mao Tse-tung apre l'opera più apertamente "politica" di Sergio Leone che, pur rimanendo fedele alla sua poetica stilizzata, innesta nel film uno spirito eversivo che va ben oltre i confini del genere. Gli elementi classici del western (la rapina in banca, l'assalto al treno, l'amicizia tra due fuorilegge, la solitudine dei protagonisti) sono il corollario di una ruspante invettiva contro ogni forma di sopraffazione ai danni dei più deboli, e contro una visione classista della società. La condizione sociale delle persone più povere, l'arroganza dei benestanti (messi a confronto in una memorabile sequenza che ripropone con dettagli e primissimi piani gli stili di vita degli uni e degli altri), la lotta di massa per una giusta causa (suggerita anche dall'utilizzo frequente di inquadrature larghe) sono i punti fondamentali su cui Leone dà libero sfogo al suo furore creativo. E, come per i suoi due film-testamento (C'era una volta il West, del 1968 e C'era una volta in America, del 1984), assume valore fondante l'inesorabile scorrere del Tempo, che muta radicalmente lo scenario entro cui sono costretti a muoversi i personaggi. Una pellicola crepuscolare ma ricca di tagliente ironia, nella quale Rod Steiger e James Coburn, tipica coppia di opposti che si attraggono, fanno faville. Vincitore del David di Donatello per la miglior regia.
«La Rivoluzione non è un pranzo di gala, non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo, non si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazia e cortesia. La Rivoluzione è un atto di violenza». Il pensiero di Mao Tse-tung apre l'opera più apertamente "politica" di Sergio Leone che, pur rimanendo fedele alla sua poetica stilizzata, innesta nel film uno spirito eversivo che va ben oltre i confini del genere. Gli elementi classici del western (la rapina in banca, l'assalto al treno, l'amicizia tra due fuorilegge, la solitudine dei protagonisti) sono il corollario di una ruspante invettiva contro ogni forma di sopraffazione ai danni dei più deboli, e contro una visione classista della società. La condizione sociale delle persone più povere, l'arroganza dei benestanti (messi a confronto in una memorabile sequenza che ripropone con dettagli e primissimi piani gli stili di vita degli uni e degli altri), la lotta di massa per una giusta causa (suggerita anche dall'utilizzo frequente di inquadrature larghe) sono i punti fondamentali su cui Leone dà libero sfogo al suo furore creativo. E, come per i suoi due film-testamento (C'era una volta il West, del 1968 e C'era una volta in America, del 1984), assume valore fondante l'inesorabile scorrere del Tempo, che muta radicalmente lo scenario entro cui sono costretti a muoversi i personaggi. Una pellicola crepuscolare ma ricca di tagliente ironia, nella quale Rod Steiger e James Coburn, tipica coppia di opposti che si attraggono, fanno faville. Vincitore del David di Donatello per la miglior regia.
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