Un grido nella notte
A Cry in the Dark
1988
Paesi
Australia, Usa
Genere
Drammatico
Durata
121 min.
Formato
Colore
Regista
Fred Schepisi
Attori
Sam Neill
Meryl Streep
Charles Tingwell
John Howard
Brian James
La famiglia Chamberlain è in campeggio presso l’Ayers Rock quando la più piccola dei tre figli sparisce dalla culla. Il corpo della bimba non viene ritrovato e la stampa inizia a sospettare dei coniugi (Meryl Streep e Sam Neill). I due sono sottoposti a un lungo e travagliato processo, che mette a dura prova la loro relazione e la loro fede.
Ispirato alla vera storia di Lindy Chamberlain, il film propone l’archetipica rappresentazione dell’innocente perseguitato dalla giustizia, che qui assume caratteristiche inedite grazie alla presenza di un personaggio centrale forte e non convenzionale, portato sulla scena da un’intensa Meryl Streep. Tutto si regge proprio sulla sua recitazione che restituisce tutta l’ambiguità di un personaggio dalla mimica quasi pietrificata, sotto la quale dilaga l’esasperazione di una madre che non ha avuto il tempo per elaborare il proprio lutto. Peccato che la vicenda non sia all’altezza delle aspettative: nonostante il delicato caso di un possibile infanticidio riesca facilmente a ottenere l’attenzione dello spettatore desideroso di scoprire l’esito finale e il verdetto della giuria, la trama diventa un susseguirsi di aule di tribunale e cavilli giuridici che depotenziano il pathos iniziale. Inoltre, il processo non viene sfruttato come trampolino di lancio per trattare il tema della fallibilità della giustizia e della crudeltà del pregiudizio (ridotto a pettegolezzo); la labilità della fede religiosa nei momenti di difficoltà viene affrontata solo superficialmente, mentre il potere e la responsabilità della stampa e dei media, in grado di influenzare l’opinione comune, uniti ai rischi della disinformazione, sono elementi presenti ma anch’essi in definitiva poco sfruttati.
Ispirato alla vera storia di Lindy Chamberlain, il film propone l’archetipica rappresentazione dell’innocente perseguitato dalla giustizia, che qui assume caratteristiche inedite grazie alla presenza di un personaggio centrale forte e non convenzionale, portato sulla scena da un’intensa Meryl Streep. Tutto si regge proprio sulla sua recitazione che restituisce tutta l’ambiguità di un personaggio dalla mimica quasi pietrificata, sotto la quale dilaga l’esasperazione di una madre che non ha avuto il tempo per elaborare il proprio lutto. Peccato che la vicenda non sia all’altezza delle aspettative: nonostante il delicato caso di un possibile infanticidio riesca facilmente a ottenere l’attenzione dello spettatore desideroso di scoprire l’esito finale e il verdetto della giuria, la trama diventa un susseguirsi di aule di tribunale e cavilli giuridici che depotenziano il pathos iniziale. Inoltre, il processo non viene sfruttato come trampolino di lancio per trattare il tema della fallibilità della giustizia e della crudeltà del pregiudizio (ridotto a pettegolezzo); la labilità della fede religiosa nei momenti di difficoltà viene affrontata solo superficialmente, mentre il potere e la responsabilità della stampa e dei media, in grado di influenzare l’opinione comune, uniti ai rischi della disinformazione, sono elementi presenti ma anch’essi in definitiva poco sfruttati.
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