Hayasaka (Kōji Kikkawa), uomo d'affari giapponese, arrestato nelle Filippine per il possesso di una gran quantità di eroina, viene rinchiuso in un carcere soprannominato “Il paradiso”. Dentro come fuori, l'unica cosa che conta è il denaro e dopo essere entrato in contatto con alcuni prigionieri connazionali e aver iniziato a lavorare per conto del boss Yoshida (Tsutomu Yamazaki), Hayasaka si decide a riacquisire la libertà a ogni costo. Trasferitosi dall'abituale contesto giapponese nelle caotiche Filippine, Takashi Miike affronta, come già aveva fatto in precedenza, il tema della ricerca identitaria (unito a quello della ricostruzione familiare) e dirige una curiosa commedia che parte come prison-movie e finisce come favola utopica. Sullo sfondo di un paese profondamente corrotto, Miike porta i suoi personaggi a compiere un percorso di redenzione (che va dal tradimento per pochi soldi al sacrificio disinteressato per gli altri) fino a un riscatto che coincide con la completa reintegrazione nella società. Nonostante una sceneggiatura non sempre scorrevole e una certa prolissità nella parte centrale, il film figura fra i più liberi e istintivi del regista e si distingue dalle opere precedenti soprattutto per il suo carattere felice e positivo che lo fa sfociare in una surreale (e ironica) parte finale leggibile come un caloroso invito alla lealtà e alla solidarietà umana (pur con qualche ambiguità di fondo). Musiche del cantante Kōji Kikkawa (qui anche attore protagonista) che sostituisce l'abituale Kōji Endō.