Hard to Be a God
Trudno byt bogom
2013
Paese
Russia
Generi
Drammatico, Fantascienza
Durata
177 min.
Formato
Bianco e Nero
Regista
Aleksej German
Attori
Leonid Yarmolnik
Aleksandr Chutko
Yuriy Tsurilo
Evgeniy Gerchakov
Un gruppo di scienziati, storici e antropologi, con l'obbligo di rimanere neutrali e indifferenti, giunge su un pianeta identico in tutto e per tutto alla Terra di nome Arkanar, che però a livello temporale è situato ottocento anni indietro, imprigionato in un'età arretrata e buia assimilabile al Medioevo terrestre. Tutto è sprofondato nel letame, abitato da un'umanità devastata e mostruosa, e qualsiasi forma di intelligenza è rinnegata, criminalizzata, perseguitata.
Il capolavoro assoluto di Aleksej German, un'operazione titanica e irripetibile, un monumento statuario alla grandezza del cinema, alle sue possibilità liriche, alla capacità delle immagini di trasfigurare il reale e di rappresentare l'Assoluto. Un magma audiovisivo nel quale il lerciume, la sporcizia e l'abbrutimento di un'umanità imprigionata in una sorta di girone infernale vengono restituiti con devastante potenza. Ciò che fa di Hard to Be a God uno dei più grandi film del nostro tempo, un oggetto audiovisivo che fa tesoro di un passato gloriosissimo ed è destinato ad accompagnarci anche nel futuro, è proprio tale attenzione capillare e totalizzante alla natura sensoriale dell'immagine: German alterna fango e sozzume a sequenze innevate tra le più belle mai girate (l'incredibile finale, per esempio), muovendosi in una terra di mezzo a metà tra gusto pittorico (il realismo iper-dettagliato e mostruoso di Hyeronimus Bosch su tutto e tutti) e discesa agli Inferi, con una sensibilità estetica di una grandezza stordente, interessata soprattutto alla rappresentazione il più concreta e verosimile dell'essere umano, miserie e bassezze comprese. Un cinema organolettico altissimo, di statura, parafrasando il titolo, davvero divina, che pare disceso al contempo dall'Olimpo e sprofondato nell'oltretomba, come se tali due estremi potessero davvero toccarsi. Quella di German («Uno tra i più straordinari concertatori di gesti individuali e di massa del cinema moderno», secondo Marco Müller) è una superproduzione a tutti gli effetti, iniziata nel 1999 e girata in un lasso temporale che va dall'autunno 2000 all'agosto del 2006, con tanto di ricostruzioni di una città medievale in esterni nei pressi di Praga e di ovvia post-produzione fiume. Siamo nel futuro, in un secolo buio del passato che si traduce in un eterno presente intrecciato visceralmente all'incubo incancellabile e impossibile da dimenticare della brutalità staliniana, e Hard to Be a God sembra destinato esso stesso a sopravvivere a qualsiasi forma di oblio, quale pietra miliare spietata e irrinunciabile sulle radici della violenza della razza umana, oltre che sui mali perpetui di una Storia che attualizza e rinnova di continuo le proprie colpe ataviche. L'autore è morto il 21 febbraio 2013, mentre era al lavoro sul sonoro del film. L'opera venne poi terminata dalla moglie Svetlana Karmalita, negli ultimi anni anche sua sceneggiatrice, e dal figlio Alexej German Jr., anche lui regista e alfiere di una nuova stagione di cineasti russi. Adattamento del romanzo fantascientifico del 1960 Hard to Be a God di Boris e Arkady Strugatsky.
Il capolavoro assoluto di Aleksej German, un'operazione titanica e irripetibile, un monumento statuario alla grandezza del cinema, alle sue possibilità liriche, alla capacità delle immagini di trasfigurare il reale e di rappresentare l'Assoluto. Un magma audiovisivo nel quale il lerciume, la sporcizia e l'abbrutimento di un'umanità imprigionata in una sorta di girone infernale vengono restituiti con devastante potenza. Ciò che fa di Hard to Be a God uno dei più grandi film del nostro tempo, un oggetto audiovisivo che fa tesoro di un passato gloriosissimo ed è destinato ad accompagnarci anche nel futuro, è proprio tale attenzione capillare e totalizzante alla natura sensoriale dell'immagine: German alterna fango e sozzume a sequenze innevate tra le più belle mai girate (l'incredibile finale, per esempio), muovendosi in una terra di mezzo a metà tra gusto pittorico (il realismo iper-dettagliato e mostruoso di Hyeronimus Bosch su tutto e tutti) e discesa agli Inferi, con una sensibilità estetica di una grandezza stordente, interessata soprattutto alla rappresentazione il più concreta e verosimile dell'essere umano, miserie e bassezze comprese. Un cinema organolettico altissimo, di statura, parafrasando il titolo, davvero divina, che pare disceso al contempo dall'Olimpo e sprofondato nell'oltretomba, come se tali due estremi potessero davvero toccarsi. Quella di German («Uno tra i più straordinari concertatori di gesti individuali e di massa del cinema moderno», secondo Marco Müller) è una superproduzione a tutti gli effetti, iniziata nel 1999 e girata in un lasso temporale che va dall'autunno 2000 all'agosto del 2006, con tanto di ricostruzioni di una città medievale in esterni nei pressi di Praga e di ovvia post-produzione fiume. Siamo nel futuro, in un secolo buio del passato che si traduce in un eterno presente intrecciato visceralmente all'incubo incancellabile e impossibile da dimenticare della brutalità staliniana, e Hard to Be a God sembra destinato esso stesso a sopravvivere a qualsiasi forma di oblio, quale pietra miliare spietata e irrinunciabile sulle radici della violenza della razza umana, oltre che sui mali perpetui di una Storia che attualizza e rinnova di continuo le proprie colpe ataviche. L'autore è morto il 21 febbraio 2013, mentre era al lavoro sul sonoro del film. L'opera venne poi terminata dalla moglie Svetlana Karmalita, negli ultimi anni anche sua sceneggiatrice, e dal figlio Alexej German Jr., anche lui regista e alfiere di una nuova stagione di cineasti russi. Adattamento del romanzo fantascientifico del 1960 Hard to Be a God di Boris e Arkady Strugatsky.
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