Holy Spider
Holy Spider
2022
Paesi
Danimarca, Germania, Svezia, Francia
Generi
Giallo, Drammatico, Thriller
Durata
115 min.
Formato
Colore
Regista
Ali Abbasi
Attori
Zar Amir Ebrahimi
Mehdi Bajestani
Arash Ashtiani
Saeed (Mehdi Bajestani), un padre di famiglia, è intenzionato a compiere una “missione sacra”, ripulendo la città santa di Mashhad dalla prostituzione, simbolo per lui di immoralità e corruzione. Il modo che sceglie per portare a termine questa impresa è l’omicidio.
Prendendo spunto dalla storia vera di Saeed Hanaei, serial killer iraniano che ha strangolato sedici prostitute, Ali Abbasi ha realizzato un film capace di scuotere e molto diverso rispetto ai suoi due lavori precedenti, Shelley e Border. Con una buona maturità espressiva il regista iraniano crea un film fortemente sensoriale, in cui si possono percepire anche gli odori notturni e nauseabondi degli spazi (e delle azioni) marcescenti messi in campo. Se il contesto spaziale è capace di offrire già uno spunto di per sé originale, molto più convenzionale è l’andamento narrativo in tutta la prima parte, vittima di una modalità narrativa e stilistica che sa troppo di già visto, seppur di buona fattura. Il film però si (ri)alza egregiamente nella seconda parte quando viene fuori totalmente la sua natura profondamente politica e inerenti ai temi del fondamentalismo religioso e del maschilismo nell’Iran contemporaneo. Se il lato thriller della vicenda, che vede coinvolta una giornalista arrivata in città per indagare su chi possa essere lo spietato serial killer, non è sempre coinvolgente, non si può dire altrettanto delle ottime riflessioni messe in campo dopo che l’assassino viene catturato: Abbasi non fa sconti e mostra una società in cui membri delle istituzioni e parte della popolazione arrivano a sostenere l’operato di Hanaei. Il lato più inquietante, però, è quella famigliare con una riuscitissima e straziante sequenza in cui i due giovanissimi figli dell’assassino ricostruiscono le dinamiche degli omicidi. Il risultato è un buon lungometraggio, imperfetto ma incisivo, che fa ben sperare per il prosieguo della carriera del suo autore. Presentato in concorso al Festival di Cannes.
Prendendo spunto dalla storia vera di Saeed Hanaei, serial killer iraniano che ha strangolato sedici prostitute, Ali Abbasi ha realizzato un film capace di scuotere e molto diverso rispetto ai suoi due lavori precedenti, Shelley e Border. Con una buona maturità espressiva il regista iraniano crea un film fortemente sensoriale, in cui si possono percepire anche gli odori notturni e nauseabondi degli spazi (e delle azioni) marcescenti messi in campo. Se il contesto spaziale è capace di offrire già uno spunto di per sé originale, molto più convenzionale è l’andamento narrativo in tutta la prima parte, vittima di una modalità narrativa e stilistica che sa troppo di già visto, seppur di buona fattura. Il film però si (ri)alza egregiamente nella seconda parte quando viene fuori totalmente la sua natura profondamente politica e inerenti ai temi del fondamentalismo religioso e del maschilismo nell’Iran contemporaneo. Se il lato thriller della vicenda, che vede coinvolta una giornalista arrivata in città per indagare su chi possa essere lo spietato serial killer, non è sempre coinvolgente, non si può dire altrettanto delle ottime riflessioni messe in campo dopo che l’assassino viene catturato: Abbasi non fa sconti e mostra una società in cui membri delle istituzioni e parte della popolazione arrivano a sostenere l’operato di Hanaei. Il lato più inquietante, però, è quella famigliare con una riuscitissima e straziante sequenza in cui i due giovanissimi figli dell’assassino ricostruiscono le dinamiche degli omicidi. Il risultato è un buon lungometraggio, imperfetto ma incisivo, che fa ben sperare per il prosieguo della carriera del suo autore. Presentato in concorso al Festival di Cannes.
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