Il principe dimenticato
Le prince oublié
2020
Paesi
Francia, Belgio
Generi
Avventura, Commedia
Durata
101 min.
Formato
Colore
Regista
Michel Hazanavicius
Attori
Omar Sy
Bérénice Bejo
François Damiens
Philippe Vieux
Philippe Uchan
Di giorno Djibi (Omar Sy) è il modesto guardiano di un parcheggio, di notte è l'eroe senza paura di un altrove incantato. Vedovo e padre di Sofia (Sarah Gaye), inventa per lei castelli, fate e draghi. Ogni sera rispolvera il mantello e diventa il suo principe. Ma il tempo passa e Sofia preferisce sognare di Max, il suo biondissimo compagno di scuola. Crescere per lei è l'avventura più grande, per Djibi una violazione alle regole. A svegliarlo ci penserà Clotilde (Bérénice Bejo), una vicina di casa un po' matta, un po' fata.
Commedia dalle venature un po’ fantasy e un po’ family, Il principe dimenticato è un esempio di maldestro tentativo tanto di cinema per l’infanzia quanto di feel good movie, all’insegna di buoni sentimenti e situazioni rassicuranti, che vorrebbe parlare di crescita e di evoluzione dei rapporti umani lasciando intravedere il richiamo della realtà dietro le sembianze colorate di un mondo incantato. L’intersezione tra i due poli della narrazione, uno più concreto e l’altro più immaginifico, è però mal dosata, con dei contorni già fragili e ulteriormente slabbrati dall’inconsistenza delle singole scene e da una quantità industriale di stucchevole melassa. Michel Hazanavicius prova a giocare – in chiave para-disneyana, ma in fin dei conti molto poco psicoanalitica – sul crinale del brio surreale caro al Gondry dei tempi d’oro, annacquandolo nel tentativo di proporne una versione divulgativa e bidimensionale. Lo scheletro generale del film, fragile e claudicante fin dalle premesse, finisce così col franare precocemente su stesso, banalizzando e facendo sembrare particolarmente invecchiato e fuori tempo massimo anche lo sforzo cromatico e scenografico, il ricorso a pupazzi in 3D e altre inutili amenità. Tutto il cinema del cineasta di The Artist (2012), in fin dei conti, è avvezzo a giocare col cinema e col suo calco, dal film con Jean Dujardin e Berénice Bejo (presente qui nei panni della stralunata dal cuore d’oro di turno) allo sfrontato e giocoso Il mio Godard (2017), ma in questo caso il gioco di prestigio ha una trasparenza e una letteralità che vanificano ogni magia, sospensione dell’incredibilità e possibilità d’immedesimazione, tanto emotiva quanto psicologica, trasformando il regno del fatato in un territorio ibrido e neutro.
Commedia dalle venature un po’ fantasy e un po’ family, Il principe dimenticato è un esempio di maldestro tentativo tanto di cinema per l’infanzia quanto di feel good movie, all’insegna di buoni sentimenti e situazioni rassicuranti, che vorrebbe parlare di crescita e di evoluzione dei rapporti umani lasciando intravedere il richiamo della realtà dietro le sembianze colorate di un mondo incantato. L’intersezione tra i due poli della narrazione, uno più concreto e l’altro più immaginifico, è però mal dosata, con dei contorni già fragili e ulteriormente slabbrati dall’inconsistenza delle singole scene e da una quantità industriale di stucchevole melassa. Michel Hazanavicius prova a giocare – in chiave para-disneyana, ma in fin dei conti molto poco psicoanalitica – sul crinale del brio surreale caro al Gondry dei tempi d’oro, annacquandolo nel tentativo di proporne una versione divulgativa e bidimensionale. Lo scheletro generale del film, fragile e claudicante fin dalle premesse, finisce così col franare precocemente su stesso, banalizzando e facendo sembrare particolarmente invecchiato e fuori tempo massimo anche lo sforzo cromatico e scenografico, il ricorso a pupazzi in 3D e altre inutili amenità. Tutto il cinema del cineasta di The Artist (2012), in fin dei conti, è avvezzo a giocare col cinema e col suo calco, dal film con Jean Dujardin e Berénice Bejo (presente qui nei panni della stralunata dal cuore d’oro di turno) allo sfrontato e giocoso Il mio Godard (2017), ma in questo caso il gioco di prestigio ha una trasparenza e una letteralità che vanificano ogni magia, sospensione dell’incredibilità e possibilità d’immedesimazione, tanto emotiva quanto psicologica, trasformando il regno del fatato in un territorio ibrido e neutro.
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