Shanghai, 1941. L'esercito giapponese invade la Cina e travolge le vite di migliaia di persone, deportandole in campi di concentramento. Tra di loro c'è Jim (Christian Bale), giovanissimo figlio di una agiata coppia di inglesi residenti a Shanghai. Gli orrori della guerra fanno di lui un piccolo grande uomo, tenacemente attaccato alla vita e proteso verso il sogno insopprimibile del volo.

Se molte pagine del cinema spielberghiano raccontano di una innocenza ritrovata, questo kolossal disuguale e affascinante, tra i più sfortunati nella carriera del cineasta di Cincinnati, parla di una innocenza perduta. Ci vuole un'intera guerra per fare di un bambino un uomo e la bella sceneggiatura di Tom Stoppard, tratta dal romanzo autobiografico di J.G. Ballard, coglie le tracce di questo cammino di formazioni negli occhi del piccolo Jim, un bravo Christian Bale appena tredicenne e alla sua prima apparizione sul grande schermo. A tratti troppo illustrativo e appesantito da qualche inutile patetismo, fu un clamoroso flop al botteghino ma rappresenta, comunque, uno snodo centrale nella filmografia di Steven Spielberg. Prima megaproduzione hollywoodiana a cui fu concesso il permesso di effettuare riprese all'interno delle mura delle città di Shanghai.