Christopher McCandless (Emile Hirsch), giovane benestante laureato a pieni voti, improvvisamente decide di partire per un lungo viaggio tra il Messico e gli Stati Uniti, non riuscendo più a tollerare il disgusto che prova per il capitalismo e il consumismo tipico della società in cui vive. È sicuro solo di una cosa: che non farà più ritorno dal padre Walt (William Hurt) e dalla madre Billie (Marcia Gay Harden).

Al quarto lungometraggio da regista, Sean Penn azzarda la carta dell'avventura introspettiva impegnandosi in un progetto imponente che ha richiesto dieci lunghi anni di gestazione per problemi di cessione di diritti del romanzo Nelle terre estreme di Jon Krakauer da parte della famiglia McCandless. Otto estenuanti mesi di riprese negli angoli più remoti degli Usa (il deserto del Nevada, le nevi del monte McKinley) si sono rivelati una fatica ben spesa: un'esperienza sensoriale che permette di vivere un percorso formativo che si rispecchia anche nel paesaggio (l'essenza stessa delle terre selvagge unita a una rappresentazione vivida del degradante stato fisico del protagonista). Penn mescola con perizia primissimi piani e lunghe carrellate, permettendo allo spettatore di posare lo sguardo sia sull'immensità della natura che sulla fragilità dell'animo umano: il suo stile, però, è fin autocompiaciuto nella scelta di alcuni split screen che si potevano evitare. La pellicola non solo rende onore a un coraggioso ragazzo partito alla ricerca di un utopico ideale libertà, ma lancia una forte critica a quell'ideologia capitalistica in cui sguazza tutto l'Occidente. Il messaggio è chiaro ed efficace, seppur a tratti sia eccessivamente pedante e paternalistico nel suggerire indipendenza e ribellione personale («Se vuoi qualcosa nella vita, allunga la mano e prendila...»). Bellissima colonna sonora di Eddie Vedder, leader dei Pearl Jam. Due nomination all'Oscar: montaggio e attore non protagonista (Hal Holbrook).