Chicago, fine anni Sessanta. Dopo essere stato arrestato per un furto d’auto, il giovane criminale Bill O’Neal (Lakeith Stanfield) accetta di fare l’informatore per l’FBI infiltrandosi tra le Pantere Nere. Si avvicinerà sempre di più a Fred Hampton (Daniel Kaluuya), leader del movimento, tanto da contribuire alla sua tragica fine.

Prodotto da Ryan Coogler (regista di Black Panther), Judas and the Black Messiah è il secondo lungometraggio di Shaka King dopo il misconosciuto Newlyweeds del 2013. Praticamente è (quasi) un’opera prima per il regista che ha anche contribuito alla sceneggiatura di questa pellicola biografica, che racconta la figura celebre di Fred Hampton ma anche quella del suo “Giuda” Bill O’Neal. Ed è proprio attorno a questo personaggio che si sviluppano gli elementi più interessanti di un film che segue il suo punto di vista: quello di O’Neal è uno sguardo dalla doppia natura, che da un lato sembra aderire alla visione di Hampton ma che dall’altro contribuirà alla sua morte, avvenuta alla fine del 1969. Inizialmente fatica un po’ a carburare questo biopic anticonvenzionale che non riesce sempre ad approfondire adeguatamente le relazioni tra i personaggi e le figure di contorno (il rapporto tra Hampton e la sua compagna è molto sbrigativo). Judas and the Black Messiah, però, ha il raro pregio di riuscire a crescere alla distanza risultando sempre più interessante, coinvolgente e profondo con il passare dei minuti. King evita il biopic elogiativo e trasforma il suo lavoro in un prodotto storico sulla società dell’epoca e su tentativi di integrazione che toccano anche il presente. Notevoli i momenti con i comizi di Hampton, molto ben interpretato da Daniel Kaluuya, che per il ruolo ha vinto il Golden Globe e l'Oscar come miglior attore non protagonista.