Dopo dodici anni di assenza, Louis, un giovane scrittore francese (Gaspard Ulliel), torna a casa dalla famiglia per comunicare la notizia della sua morte imminente. Non sarà però facile relazionarsi con sua mamma (Nathalie Baye), sua sorella Suzanne (Léa Seydoux) e suo fratello Antoine (Vincent Cassel) dopo così tanto tempo.
Tratto dall'omonima pièce teatrale scritta da Jean-Luc Lagarce nel 1990, È solo la fine del mondo è un film troppo ingabbiato in alcune esigenze autoriali per riuscire a convincere come dovrebbe. Il giovane regista Xavier Dolan, qui alla sua sesta fatica cinematografica, sembra non voler rinunciare allo stile che da sempre caratterizza i suoi lavori, cercando di piegare alla propria personale lente estetica una materia che avrebbe meritato un approccio differente. Così facendo, l'autore sembra perdere il senso della misura nel raccontare una storia dai risvolti intimi e drammatici, in cui lo stressante ossimoro che rappresenta il cuore pulsante della famiglia protagonista (il timido e silenzioso Louise confrontato con gli altri irruenti e altisonanti parenti) non può far altro che creare un cortocircuito comunicativo dove le intenzioni dello scrittore finiranno inevitabilmente per implodere senza mai palesarsi. Seppur sapientemente dosato nel cercare di sprigionare in maniera crescente l'attrito tra i personaggi e la tensione della vicenda, il film non ingrana mai la marcia adeguata vivendo di riflessi e déjà vu, per poi concludersi in una parte finale da dimenticare, tra isterismi eccessivi (e ingiustificati) e svolte stilistiche poco raccomandabili. Buona la prova degli attori, complessivamente tutti in parte e a proprio agio nei panni dei cinque personaggi in scena (tra cui il più interessante è quello di Catherine, interpretato da Marion Cotillard, la moglie di Antoine e l'unica figura in grado di capire il disagio di Louis). Grand Prix e Premio della giuria ecumenica al Festival di Cannes 2016.