Elia Venezia (Toni Servillo) è uno ieratico e distaccato psicoanalista ebreo che tiene tutti a debita distanza, compresa l’ex moglie Giovanna (Claudia Signoris). Quando però decide di rimettersi in forma a seguito di una diagnosi medica, irrompe nella sua vita Claudia (Veronica Echegui), una brillante, vitale e buffa personal trainer spagnola.
Un curioso tentativo di commedia sofisticata all’italiana, con Toni Servillo mattatore assoluto: alla sua prima, effettiva prova con una commedia a tutti gli effetti, l’attore campano, look alla Freud e tempi comici manco a dirlo perfetti, è un personaggio che si porta addosso le scorie irresistibili e nevrotiche di Woody Allen e Groucho Marx, senza per questo venirne schiacciato in alcun modo. Il gioco degli opposti su cui il film di Francesco Amato si basa è senz’altro risaputo e prevedibile, soprattutto a causa di qualche passaggio di sceneggiatura piuttosto debole e scritto grossolanamente, ma il suo è un prodotto abbastanza azzeccato, tanto nella componente rocambolesca che in quella pittoresca, sorretto da un discreto ritmo e da una dicotomia il più delle volte sinceramente spassosa e divertente. Veronica Echegui, già vista nella serie tv Fortitude, interpreta un personaggio colorato e vulcanico, eppure ben scritto e mai stucchevole, un po’ un incrocio tra la classica musa ispanica delle commedie di Leonardo Pieraccioni e la Mira Sorvino propria de La dea dell’amore di Woody Allen. Le idee grafiche del film sono riuscite, a cominciare dall’uso dei colori caldi, e le battute sulla shabbat, l’ebraismo e i regimi totalitari funzionano per larghi tratti («Bandire il jazz è stata l’unica idea positiva del fascismo»), nonostante un pizzico di furbizia di troppo e alcune scorciatoie narrative che vengono (intra)prese di tanto in tanto. Con leggerezza e corrosiva levità il film di Amato, al netto di qualche calo fisiologico e di alcuni passaggi di scarso interesse, riesce a parlare un po’ di tutto (perfino l’omosessualità nel mondo del calcio) risultando quasi sempre garbato, dolcemente cinico, gustosamente misurato. Finale a dir poco esagitato e al fulmicotone con Luca Marinelli nuovamente nei panni del coatto, alle prese con la balbuzie e con una recitazione tanto controllata ed enormemente di maniera, quanto esplosiva e perfettamente funzionale agli ingranaggi comici delle ultime scene. Il suo personaggio, un balordo infantile e pazzoide o per meglio dire “un matto scocciato” (per citare una battuta de Lo chiamavano Jeeg Robot), traghetta il film verso gli ultimi sviluppi con originalità e senso dello spettacolo, anche se l’attore romano pare davvero faticare a sganciarsi da questa tipologia di ruoli. Tante gustose apparizioni, tra cui un irresistibile Pietro Sermonti nei panni del gestore della palestra e un geniale cameo di Giacomo Poretti. Sceneggiatura di Francesco Bruni (da una sua idea), Davide Lantieri e del regista Francesco Amato.