Lasciati andare
2017
Paese
Italia
Genere
Commedia
Durata
107 min.
Formato
Colore
Regista
Francesco Amato
Attori
Toni Servillo
Veronica Echegui
Luca Marinelli
Carla Signoris
Pietro Sermonti
Valentina Carnelutti
Giacomo Poretti

Elia Venezia (Toni Servillo) è uno ieratico e distaccato psicoanalista ebreo che tiene tutti a debita distanza, compresa l’ex moglie Giovanna (Claudia Signoris). Quando però decide di rimettersi in forma a seguito di una diagnosi medica, irrompe nella sua vita Claudia (Veronica Echegui), una brillante, vitale e buffa personal trainer spagnola. 

Un curioso tentativo di commedia sofisticata all’italiana, con Toni Servillo mattatore assoluto: alla sua prima, effettiva prova con una commedia a tutti gli effetti, l’attore campano, look alla Freud e tempi comici manco a dirlo perfetti, è un personaggio che si porta addosso le scorie irresistibili e nevrotiche di Woody Allen e Groucho Marx, senza per questo venirne schiacciato in alcun modo. Il gioco degli opposti su cui il film di Francesco Amato si basa è senz’altro risaputo e prevedibile, soprattutto a causa di qualche passaggio di sceneggiatura piuttosto debole e scritto grossolanamente, ma il suo è un prodotto abbastanza azzeccato, tanto nella componente rocambolesca che in quella pittoresca, sorretto da un discreto ritmo e da una dicotomia il più delle volte sinceramente spassosa e divertente. Veronica Echegui, già vista nella serie tv Fortitude, interpreta un personaggio colorato e vulcanico, eppure ben scritto e mai stucchevole, un po’ un incrocio tra la classica musa ispanica delle commedie di Leonardo Pieraccioni e la Mira Sorvino propria de La dea dell’amore di Woody Allen. Le idee grafiche del film sono riuscite, a cominciare dall’uso dei colori caldi, e le battute sulla shabbat, l’ebraismo e i regimi totalitari funzionano per larghi tratti («Bandire il jazz è stata l’unica idea positiva del fascismo»), nonostante un pizzico di furbizia di troppo e alcune scorciatoie narrative che vengono (intra)prese di tanto in tanto. Con leggerezza e corrosiva levità il film di Amato, al netto di qualche calo fisiologico e di alcuni passaggi di scarso interesse, riesce a parlare un po’ di tutto (perfino l’omosessualità nel mondo del calcio) risultando quasi sempre garbato, dolcemente cinico, gustosamente misurato. Finale a dir poco esagitato e al fulmicotone con Luca Marinelli nuovamente nei panni del coatto, alle prese con la balbuzie e con una recitazione tanto controllata ed enormemente di maniera, quanto esplosiva e perfettamente funzionale agli ingranaggi comici delle ultime scene. Il suo personaggio, un balordo infantile e pazzoide o per meglio dire “un matto scocciato” (per citare una battuta de Lo chiamavano Jeeg Robot), traghetta il film verso gli ultimi sviluppi con originalità e senso dello spettacolo, anche se l’attore romano pare davvero faticare a sganciarsi da questa tipologia di ruoli. Tante gustose apparizioni, tra cui un irresistibile Pietro Sermonti nei panni del gestore della palestra e un geniale cameo di Giacomo Poretti. Sceneggiatura di Francesco Bruni (da una sua idea), Davide Lantieri e del regista Francesco Amato.

Maximal Interjector
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