La solitaria Sue Ann detta Ma (Octavia Spencer) fa amicizia con un gruppo di adolescenti e offre loro la possibilità di ubriacarsi nel seminterrato di casa sua. L'ospitalità della donna inizia ben presto a sfociare nell’ossessione, trasformando la vita dei ragazzi in un incubo.

Thriller dai risvolti horror prodotto dalla Blumhouse, factory contrassegnata da una notevole bulimia ma anche da soggetti il più delle volte azzeccati e ispirati a livello commerciale, Ma non è all’altezza degli standard della società di Jason Blum e dei suoi esiti migliori. L’idea di fondo è infatti stiracchiata e senza nerbo, i fremiti di terrore assolutamente trascurabili e la protagonista, ora fragile ora demoniaca, non possiede alcuna carica inquieta ed è il corrispettivo perfetto di un film schizofrenico ma irrisolto. Il campionario di trovate horror è basico e non fanno eccezione nemmeno le figure degli adolescenti, poco plausibili sul piano psicologico e inevitabilmente tagliati con l’accetta per via di un’umoralità che fa malamente il paio con le grossolane e pacchiane virate di sceneggiatura: un copione assolutamente rivedibile, povero di idee (a meno che non ci si stupisca per l’uso delle maschere tribali…) e sprovvisto di un climax reale, senza contare che le implicazioni politiche di una storia all’insegna del revanscismo afroamericano sbandano ben presto e risultano confuse e pretestuose. Il regista di The Help (2011) e La ragazza del treno (2016), Tate Taylor, ritrova Octavia Spencer ma gli intenti e la confezione somigliano alla copia carbone sbiadita, oltre precipitosamente riproposta per sfruttarne il traino, del cinema di Jordan Peele, del quale vengono replicate in chiave minore soluzioni e approccio generale. Le sbavature finali non fanno meglio, sbandando verso la telenovela. Poco amalgamato anche il cast, in cui si fanno notare Juliette Lewis e Allison Janney.