Mank
Mank
2020
Netflix
Paese
Usa
Generi
Drammatico, Biografico
Durata
131 min.
Formato
Bianco e Nero
Regista
David Fincher
Attori
Gary Oldman
Amanda Seyfried
Lily Collins
Arliss Howard
Tom Pelphrey
Sam Troughton
Ferdinand Kingsley
Tuppence Middleton
Tom Burke
Charles Dance
La storia di Herman J. Mankiewicz (Gary Oldman), grande sceneggiatore che lavorò a Hollywood dalla fine degli anni Venti. Alcolizzato e spesso in rotta con i produttori, Mankiewicz un giorno venne chiamato da Orson Welles per realizzare il copione di quello che sarebbe poi diventato uno dei film più importanti della storia del cinema: Quarto potere (1941).
Le controversie attorno alla lavorazione dello script di Quarto potere, firmato da Welles e Mankiewicz, ma con entrambi che hanno cercato di attribuirsene il più possibile la paternità (il film segue la pista della giornalista e critica Pauline Kael, che nel 1971 disse che l’unico Oscar vinto da Welles era per qualcosa che non aveva fatto, facendo riferimento proprio alla sceneggiatura del suo capolavoro) sono soltanto un primo spunto alla base di questo fondamentale lungometraggio biografico, che racconta la figura di Mankiewicz a tutto tondo. "Non si può raccontare la vita di un personaggio in due ore, ma solo dare l'impressione di averlo fatto" dice Mank in una delle tante citazioni metacinematografiche di un film che utilizza spesso le sue battute per parlare della lavorazione stessa di questa pellicola. La forma si fa presto contenuto, proponendo frasi tipiche di uno script che si sta delineando fin dalle primissime immagini: un film su uno sceneggiatore, ma soprattutto un film di sceneggiatura, in cui ancor più della splendida fotografia in bianco e nero (che richiama con alcuni giochi la pellicola dell’epoca) e di un sonoro che lavora in maniera coerente, sono soprattutto le parole a contare, all’interno di dialoghi fittissimi in cui la verve cinica, caustica e irresistibile del protagonista è soltanto il fiore all’occhiello. Non è un caso che la sceneggiatura sia firmata da Jack Fincher, padre del regista David, scomparso nel 2003, ben 17 anni prima dell’uscita su Netflix di questo lungometraggio: indubbiamente il regista di Seven e The Social Network avrà sistemato qualcosa nel corso degli anni per aggiornare al meglio quel copione, ma forse proprio per dare il giusto rispetto a quegli sceneggiatori che – nella Hollywood degli anni Trenta, come oggi – vengono spesso sottovalutati, accredita solo al padre l'interezza dello script. Ci sono varie stratificazioni durante la visione di Mank che possono collegare passaggi narrativi alla storia di Quarto potere anche al di là del modo in cui viene raccontato il rapporto tra Mankiewicz e William Randolph Hearst, magnate della stampa a cui si ispira il Charles Foster Kane interpretato da Orson Welles: intanto sono innumerevoli i riferimenti che faranno la gioia dei cinefili, con tanti collegamenti a produttori e dinamiche tipiche della Hollywood dell’epoca, di cui Fincher (come Mankiewicz) cerca di scoperchiare i lati più nefasti e la relativa corruzione. Con un controllo narrativo e registico impressionante, Fincher omaggia il cinema dell’epoca (la sequenza sulla possibile elezione a governatore di Upton Sinclair – autore del romanzo da cui Paul Thomas Anderson ha tratto Il petroliere – è strepitosa) pur riuscendo sempre a guardare avanti e a nascondere tra le pieghe del racconto il vero significato di tutto. In questo senso, la frase su come aggiornare Don Chisciotte è forse la più indicata: Mank indica Hearst, ma in realtà è proprio lo stesso Mank il “moderno” Don Chisciotte che lotta contro i mulini a vento di Hollywood (come anche lo stesso Jack Fincher, che non è riuscito in vita a farsi produrre questa sceneggiatura), sognando la sua Dulcinea Marion Davies e contro una "Nemesi dal cappello nero" che è lo stesso Orson Welles, il quale proverà a strappare il suo nome dal copione. E forse non è un caso che sia proprio Don Chisciotte uno dei progetti che Welles non è riuscito a portare a termine: che Fincher abbia voluto sfidare Welles riuscendo a realizzare il suo Don Chisciotte, oppure "omaggiarlo" in un film che sembra però andare contro il regista di Quarto potere, offuscandone parte dei meriti, ha un'importanza solo relativa perché la resa resta potentissima e le interpretazioni, come sempre con il grande cinema, possono essere le più variabili. Sta di fatto che Fincher è andato certamente a caccia della "Balena Bianca" (per citare un'altra battuta metanarrativa del film) con questa pellicola e ha trovato in un gigantesco Gary Oldman il degno protagonista di un progetto così titanico. 10 nomination agli Oscar, ma solo 2 statuette vinte: miglior montaggio e miglior fotografia.
Le controversie attorno alla lavorazione dello script di Quarto potere, firmato da Welles e Mankiewicz, ma con entrambi che hanno cercato di attribuirsene il più possibile la paternità (il film segue la pista della giornalista e critica Pauline Kael, che nel 1971 disse che l’unico Oscar vinto da Welles era per qualcosa che non aveva fatto, facendo riferimento proprio alla sceneggiatura del suo capolavoro) sono soltanto un primo spunto alla base di questo fondamentale lungometraggio biografico, che racconta la figura di Mankiewicz a tutto tondo. "Non si può raccontare la vita di un personaggio in due ore, ma solo dare l'impressione di averlo fatto" dice Mank in una delle tante citazioni metacinematografiche di un film che utilizza spesso le sue battute per parlare della lavorazione stessa di questa pellicola. La forma si fa presto contenuto, proponendo frasi tipiche di uno script che si sta delineando fin dalle primissime immagini: un film su uno sceneggiatore, ma soprattutto un film di sceneggiatura, in cui ancor più della splendida fotografia in bianco e nero (che richiama con alcuni giochi la pellicola dell’epoca) e di un sonoro che lavora in maniera coerente, sono soprattutto le parole a contare, all’interno di dialoghi fittissimi in cui la verve cinica, caustica e irresistibile del protagonista è soltanto il fiore all’occhiello. Non è un caso che la sceneggiatura sia firmata da Jack Fincher, padre del regista David, scomparso nel 2003, ben 17 anni prima dell’uscita su Netflix di questo lungometraggio: indubbiamente il regista di Seven e The Social Network avrà sistemato qualcosa nel corso degli anni per aggiornare al meglio quel copione, ma forse proprio per dare il giusto rispetto a quegli sceneggiatori che – nella Hollywood degli anni Trenta, come oggi – vengono spesso sottovalutati, accredita solo al padre l'interezza dello script. Ci sono varie stratificazioni durante la visione di Mank che possono collegare passaggi narrativi alla storia di Quarto potere anche al di là del modo in cui viene raccontato il rapporto tra Mankiewicz e William Randolph Hearst, magnate della stampa a cui si ispira il Charles Foster Kane interpretato da Orson Welles: intanto sono innumerevoli i riferimenti che faranno la gioia dei cinefili, con tanti collegamenti a produttori e dinamiche tipiche della Hollywood dell’epoca, di cui Fincher (come Mankiewicz) cerca di scoperchiare i lati più nefasti e la relativa corruzione. Con un controllo narrativo e registico impressionante, Fincher omaggia il cinema dell’epoca (la sequenza sulla possibile elezione a governatore di Upton Sinclair – autore del romanzo da cui Paul Thomas Anderson ha tratto Il petroliere – è strepitosa) pur riuscendo sempre a guardare avanti e a nascondere tra le pieghe del racconto il vero significato di tutto. In questo senso, la frase su come aggiornare Don Chisciotte è forse la più indicata: Mank indica Hearst, ma in realtà è proprio lo stesso Mank il “moderno” Don Chisciotte che lotta contro i mulini a vento di Hollywood (come anche lo stesso Jack Fincher, che non è riuscito in vita a farsi produrre questa sceneggiatura), sognando la sua Dulcinea Marion Davies e contro una "Nemesi dal cappello nero" che è lo stesso Orson Welles, il quale proverà a strappare il suo nome dal copione. E forse non è un caso che sia proprio Don Chisciotte uno dei progetti che Welles non è riuscito a portare a termine: che Fincher abbia voluto sfidare Welles riuscendo a realizzare il suo Don Chisciotte, oppure "omaggiarlo" in un film che sembra però andare contro il regista di Quarto potere, offuscandone parte dei meriti, ha un'importanza solo relativa perché la resa resta potentissima e le interpretazioni, come sempre con il grande cinema, possono essere le più variabili. Sta di fatto che Fincher è andato certamente a caccia della "Balena Bianca" (per citare un'altra battuta metanarrativa del film) con questa pellicola e ha trovato in un gigantesco Gary Oldman il degno protagonista di un progetto così titanico. 10 nomination agli Oscar, ma solo 2 statuette vinte: miglior montaggio e miglior fotografia.
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