In attesa di essere giustiziato, il Barone Frankenstein (Peter Cushing) racconta la sua terrificante storia: con il riluttante aiuto del suo istitutore (Robert Urquhart), dà vita a una creatura composta da parti di cadaveri trafugati (Christopher Lee). L'esperimento sfuggirà loro di mano. Nonostante la Hammer già dagli anni Trenta producesse horror, La maschera di Frankenstein è il primo vero successo che darà lustro alla casa di produzione britannica assurgendola al rango di regina del gotico. Snaturando le intenzioni del romanzo di Mary Shelley (e del film di James Whale del 1931), Fisher trasforma Frankenstein in un individuo abietto e crudele e la sua creatura, anziché essere una vittima della megalomane ambizione umana, è l'incarnazione del male. A partire dal trucco di Christopher Lee (scelto per la sua straordinaria altezza), che abbandona la post-organica commistione di Karloff per trasformarsi in un corpo putrescente, il regista evidenzia l'aspetto necrofilo e morboso della vicenda più che quello scientifico: il risultato è una pellicola cruda, quasi splatter, che infatti subì pesanti censure all'epoca. Mentre il colore non toglie affatto fascino ma, anzi, vivifica e rende ancora più realistiche le sequenze più violente, l'interpretazione allucinata di Cushing sottrae a Frankenstein tragicità, lasciando dilagare la follia. Quasi perverso e sadico, intenso e vibrante, il film ebbe un successo tale da dare inizio a una nutrita serie di seguiti interpretati dalla coppia Cushing-Lee.