Il mestiere delle armi
2001
Paesi
Italia, Francia, Germania, Bulgaria
Generi
Storico, Avventura, Drammatico
Durata
105 min.
Formato
Colore
Regista
Ermanno Olmi
Attori
Christo Jivkov
Sergio Grammatico
Desislava Tenekedjieva
Giancarlo Belelli
Marco De Biagi
Silvio Cappellini
Il capitano di ventura Giovanni de' Medici (Christo Jivkov) cerca di guidare le sue armate (dette Bande Nere perché hanno annerito le armature a scopo mimetico) in azioni di guerriglia contro l'esercito di lanzichenecchi che si appresta a saccheggiare Roma nella lotta tra Impero e Papato. Il marchese di Mantova (Sergio Grammatico) gli nega il passaggio accordato, invece, ai nemici: a questi il Duca di Ferrara (Giancarlo Belelli) vende i pezzi di artiglieria che feriranno il condottiero a morte.
Col coraggio, il rigore e la passione delle sue prime opere, Olmi compone un piccolo poema cavalleresco per raccontare la morte della cavalleria. Con una luce caravaggesca, paesaggi invasi da umidità e freddo, e ritratti di uomini piccoli quanto i loro regni, confeziona un'opera davvero originale che, accusata di intellettualismo quando non di arroganza, si dimostra invece uno dei capitoli più convincenti della sua maturità. Una pellicola gelida nel descrivere le azioni di guerra e gli intrighi politici e sorprendentemente appassionante nel raccontare l'inevitabile, dilatata, fatale sofferenza del protagonista. La riflessione sulla condizione umana si fa fortemente religiosa proprio nel confronto con l'assenza di un qualsivoglia cenno divino, mentre la tecnologia umana pone fine all'epoca dei guerrieri medievali e il pontefice è solo un mediocre politicante sullo sfondo. Elogio di un eroismo fuori dal tempo e per questo condannato al fallimento, Il mestiere delle armi affascina e ripaga lo spettatore con un racconto capace di controbilanciare l'accuratezza della ricostruzione con slanci melodrammatici e iperrealisti che sfidano ogni classificazione di genere. Candidato (ma poi ignorato) alla Palma d'oro, si è rifatto parzialmente con un'infinita serie di riconoscimenti in patria. Bellissima fotografia di Fabio Olmi, figlio del regista.
Col coraggio, il rigore e la passione delle sue prime opere, Olmi compone un piccolo poema cavalleresco per raccontare la morte della cavalleria. Con una luce caravaggesca, paesaggi invasi da umidità e freddo, e ritratti di uomini piccoli quanto i loro regni, confeziona un'opera davvero originale che, accusata di intellettualismo quando non di arroganza, si dimostra invece uno dei capitoli più convincenti della sua maturità. Una pellicola gelida nel descrivere le azioni di guerra e gli intrighi politici e sorprendentemente appassionante nel raccontare l'inevitabile, dilatata, fatale sofferenza del protagonista. La riflessione sulla condizione umana si fa fortemente religiosa proprio nel confronto con l'assenza di un qualsivoglia cenno divino, mentre la tecnologia umana pone fine all'epoca dei guerrieri medievali e il pontefice è solo un mediocre politicante sullo sfondo. Elogio di un eroismo fuori dal tempo e per questo condannato al fallimento, Il mestiere delle armi affascina e ripaga lo spettatore con un racconto capace di controbilanciare l'accuratezza della ricostruzione con slanci melodrammatici e iperrealisti che sfidano ogni classificazione di genere. Candidato (ma poi ignorato) alla Palma d'oro, si è rifatto parzialmente con un'infinita serie di riconoscimenti in patria. Bellissima fotografia di Fabio Olmi, figlio del regista.
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