Maggie Fitzgerald (Hilary Swank), cameriera trentenne di periferia, sogna di sfondare nel mondo del pugilato. Diventerà una campionessa grazie a Frankie Dunn (Clint Eastwood), anziano allenatore sul viale del tramonto, che non abbandonerà la ragazza nemmeno quando un tragico incidente sul ring ne segnerà fatalmente il destino.
Siamo tra le vette dell'intera filmografia di Clint Eastwood: alla veneranda età di 74 anni, il regista regala una toccante storia di sacrifici, di sogni e di speranze che si infrangono, dove la boxe si fa metafora di riscatto sociale e mezzo per ritrarre un rapporto filiale di straordinaria autenticità. La ritualità dell'allenamento e la dimensione epica dell'universo pugilistico sono rappresentate con efficacia e rigore, grazie anche all'aiuto del sapiente montaggio di Joel Cox e alla splendida fotografia di Tom Stern. Quando l'afflato agonistico lascia spazio al melodramma, commovente e a tratti straziante, l'autore abbraccia con coraggio temi scomodi come l'eutanasia, il libero arbitrio, la necessità di compiere una scelta dolorosa e di accettare, per amore, di portarne per sempre il fardello. La sceneggiatura di Paul Haggis, tratta dalla raccolta di racconti Lo sfidante di F.X. Toole, è densa e vibrante. Hilary Swank, al suo secondo Oscar dopo quello vinto con Boys Don't Cry (1999) è semplicemente perfetta. Altre tre le statuette conquistate: film, regia, attore non protagonista (Morgan Freeman).