Una spedizione archeologica in Egitto risveglia accidentalmente il sacerdote Imhotep (Boris Karloff), mummificato vivo 3700 anni prima. Spacciandosi per umano, Imhotep cercherà di riportare in vita la sua amata, convincendosi che si sia reincarnata in Helen (Zita Johann). Quando Carl Laemmle Jr., suggestionato dalla spedizione che aveva portato alla luce la tomba di Tutankhamon, decise di commissionare una storia horror ambientata in Egitto, non avrebbe certo potuto immaginare che La mummia sarebbe diventato uno dei classici immortali del genere, con innumerevoli tentativi di imitazione. Il regista è Karl Freund, grandissimo direttore della fotografia, scritturato in fretta e furia a pochi giorni dall'inizio delle riprese, e la sua mano è indispensabile a creare quelle atmosfere oscure, rischiarate da tremule candele e dal taglio quasi espressionista che contribuiranno al fascino dell'opera. In fondo non si tratta che di una storia d'amore eterno, non tanto diversa da quella che lega il conte Dracula alla bella Mina, ma l'ambientazione egiziana conferisce all'insieme un gusto esotico che all'epoca ebbe enorme successo. Dopo i grugniti di Frankenstein (1931), finalmente Karloff parla e il suo Imhotep, mellifluo e sibillino, ma anche struggente e innamorato, ha ben poco da invidiare ai precedenti mostri creati dalla Universal. Nella memoria restano le scene della sepoltura da vivo del sacerdote, con gli occhi di Karloff muti e disperati che implorano pietà, e soprattutto il risveglio dal regno dei morti della mummia. Tra le numerosissime variazioni sul tema, passa alla storia la versione Hammer del 1959 con Christopher Lee nei panni dell'egizio redivivo.