The Myth of the American Sleepover

Ultima notte d’estate per un gruppo di teenager (più un “quasi adulto”) in cerca di affetto e… non solo. L’occasione è rappresentata dai vari sleepover (pigiama party) in giro per la piccola cittadina in cui vivono: c'è chi spera nel tanto agognato primo bacio e chi, invece, crede di recuperare un briciolo di gioventù perduta tentando la sorte con due avvenenti gemelle.



Per il suo esordio al lungometraggio, David Robert Mitchell sceglie di prendere di petto il teen-movie partendo dalla provincia americana, ricca di sogni e speranze ma anche di illusioni prontamente disattese. Il regista viene paragonato da subito a un John Hughes molto più autoriale, e ciò non è così distante dalla verità: alla spensierata freschezza che condiva quei classici anni '80 si sostituisce un profondo senso di fallimento che aleggia su tutta la narrazione. I protagonisti, che compongono un quadro eterogeneo e complementare all’odierna gioventù americana, sono presentati quasi fossero delle figure archetipiche attraverso cui declinare ogni modello comportamentale, ma la scrittura dello stesso Mitchell evita costantemente questa trappola restituendo un senso di verità raramente raggiunto nel genere nel nuovo millennio. Non tutto scorre alla perfezione, qualche affaticamento si nota soprattutto nella parte finale e alcuni personaggi vengono accantonati troppo frettolosamente, ma lo sguardo è originale, lo stile elegante e le riflessioni portate avanti tutt’altro che banali. Da vedere. Presentato al Festival di Cannes, nel corso della Settimana Internazionale della Critica.