La nave delle donne maledette
1953
Paese
Italia
Generi
Drammatico, Avventura
Durata
101 min.
Formato
Colore
Regista
Raffaello Matarazzo
Attori
Kerima
May Britt
Ettore Manni
Tania Weber
Gualtiero Tumiati
Olga Solbelli
Luigi Tosi
Ignazio Balsamo
Nel Settecento, un galeone con a bordo un centinaio di donne tra carcerate e prostitute sbarca verso le colonie americane. In mezzo a queste persone poco raccomandabili vi è anche Consuelo (May Britt), una giovane ingiustamente accusata di tradimento da sua cugina Isabella (Tania Weber), pura nell'animo e presa di mira dall'intero equipaggio. Sulla nave succederà di tutto e la sommossa rivoluzionaria è dietro l'angolo. Tratto dal romanzo Histoire de 130 femmes di Léon Gozlan, La nave delle donne maledette è il primo film a colori girato da Raffaello Matarazzo, anche se nei passaggi televisivi non è raro imbattersi in una ben più sciatta versione desaturata in bianco e nero. Il regista prova ad allontanarsi dai suoi standard melodrammatici per realizzare un'opera avventurosa e spregiudicata, che fa dell'eccesso e dall'andare oltre i bordi la sua principale ragion d'essere. Notevole appare soprattutto la sua struttura narrativa, che prevede un coraggioso intreccio di storie e personaggi a bordo di un'imbarcazione in mezzo all'oceano e che è chiaramente improntata a un impianto corale avvolgente, nel tentativo di cavalcare la forza della vicenda e di moltiplicarne i frammenti e le dispersioni. In conseguenza di ciò, il ritmo generale si fa sempre più serrato e l'esagerazione sempre più marcata, ma tale inclinazione è dopotutto la materia prima e il fuoco sacro primario del tatto stilistico di Matarazzo, che pare infatti pienamente a suo agio, a cominciare dai toni cupi e tenebrosi fino ad arrivare alla spregiudicatezza di una sorta di rivoluzione sessuale liberatoria e restauratrice della "verità". È proprio questo l'elemento più scandalistico della pellicola, ragion per cui certa critica più bacchettona ha condannato il film etichettandolo come immorale. Matarazzo, dal canto suo, si limita, si fa per dire, a usare il suo racconto come detonatore e si pone in scia all'incredibile successo delle sue pellicole melodrammatiche, ma con acume e con saettante spirito critico, anche rispetto al proprio immaginario di riferimento, che in molti film si è rivelato per lui più un'etichetta costringente che un'oasi sempre e comunque confortevole cui far ritorno.
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