Parigi, 1790-1793. Avventure della contessa scozzese Grace Elliott (Lucy Russell), un tempo amante del duca d'Orléans (Jean-Claude Dreyfus), il quale ora appoggia la Rivoluzione, decisa a rimanere in Francia nonostante la caccia ai nobili e a difendere la corona di Luigi XVI. Anomala incursione nel dramma storico per l'ormai attempato Eric Rohmer (classe 1920) che, sulla base delle memorie Diario della mia vita sotto la Rivoluzione Francese scritte dalla stessa Elliott, modella la propria visione un po' snob della Storia su una vicenda tipicamente settecentesca, tra eleganza, menzogne, amore e tragedia. A colpire è lo studio puntuale sul confine tra realtà e apparenza, sostenuto anche da una precisa (e coraggiosa) scelta stilistica: girato in digitale, il film vede muoversi gli attori in interni ricostruiti in studio e in esterni ottenuti attraverso la rielaborazione computerizzata di trentasette vedute della Parigi di fine '700 commissionate al pittore Jean-Baptiste Marot, modellate sui dipinti dell'epoca. Un espediente sperimentale all'insegna dell'artificio che non ha l'ambizione di segnare una nuova tappa del linguaggio cinematografico alla Greenaway, ma si limita a inserire gli interpreti reali all'interno di quadri replicati nei minimi particolari come semplice ricerca estetica alternativa alla pellicola. Dopotutto, quello di Rohmer, è sempre stato un cinema pittorico. L'effetto, straniante e spesso al limite del kitsch, ha comunque un suo fascino magico che riporta alla memoria i lavori di Méliès. Un'operazione colta e raffinata. Fotografia di Diane Baratier, scenografie di Antoine Fontaine, costumi di Gilles Bodu-Lemoin, Pierre-Jean Larroque e Maritza Reitzman.