Yukiko (Hideko Takamine) arriva Tokyo per incontrare un vecchio amante (Masayuki Mori) conosciuto in Indocina ai durante la Seconda Guerra Mondiale. Il rapporto non si dimostra solido e i due passano da un amante all’altro, pur continuando irrimediabilmente ad attrarsi.

«Il nostro amore è morto quando è finita la guerra». È un melodramma senza un briciolo di speranza nella vittoria dell’amore, questo film di Naruse. Seguendo l’idea buddhista del “mono no aware”, ovverosia la consapevolezza dell’impermanenza delle cose, il suo è un cinema incentrato sulla fugacità della vita (la didascalia finale rimarca apertamente il concetto che già il titolo faceva proprio) e la sua macchina da presa si concentra su personaggi le cui scelte li allontanano dalla felicità. Così facendo, il regista riesce a suscitare sincero pathos nello spettatore, pur non indulgendo mai sadicamente nel dolore. Le ottime interpretazioni dei due protagonisti rinforzano questo risultato. I dialoghi sono pieni di annunciazioni mortifere che anticipano l’inevitabilità di un finale drammatico. Come il Giappone postbellico, anche Yukiko e Kengo sono spaesati, incapaci di fare i conti con le scelte del passato eppure a queste ferocemente aggrappati: una breve liason ai tempi della guerra li perseguita; essi tentano di rifarsi una vita ma le loro prospettive future sono limitate da questo sogno d’amore ormai ridotto a spettro infestante. Mikio Naruse non ebbe il successo internazionale di certi suoi connazionali, ma in patria fu molto amato sia dal pubblico che da grandi registi come Kurosawa e Ozu. Dopo la visione di questo film, il fatto non stupisce. Tratto da un romanzo della scrittrice Fumiko Hayashi, tra le maggiori fonti d’ispirazione del regista che le dedicherà anche un film biografico.