Metà del 19° secolo, San Pietroburgo. Il proprietario terriero Il'ja Il'ič Oblomov (Oleg Tabakov) è pigro, sfaticato e sempre stanco, non fa mai nulla dalla mattina alla sera e passa le giornate a letto con l'aiuto del servo Zakhar (Andrej Popov). L'amico adorato Stolz (Jurij Bogatyrëv) cerca di aiutarlo e gli fa conoscere Ol'ga (Elena Solovej), con la quale scatta l'innamoramento. Era compito arduo adattare per immagini il romanzo Oblomov (1859) di Ivan Aleksandrovič Gončarov, principalmente perché si tratta di un'opera dalla fortissima matrice narrativa in cui non succede quasi niente dal punto di vista della scansione dei singoli eventi e i meccanismi temporali vengono diluiti e dilatati. Nikita Mikhalkov, però, è riuscito con successo nella mirabile impresa, trasformando le potenziali pastoie e i probabili rischi insiti nel passaggio da un mezzo espressivo all'altro in lampanti ed evidentissimi punti di forza. Pur mutando la ritmica degli accadimenti a proprio piacimento e approcciandosi al modello di partenza con salutare e forse doverosa libertà, l'autore ha colpito nel segno perché prima di tutto, al di là di qualsiasi discorso di economia narrativa, è riuscito a descrivere la condizione del suo protagonista in maniera umana e sofferta, esistenziale e modernissima, trasformando la sua ignavia e mutandone i connotati e le caratteristiche, fino a trattarla come si tratterebbe una depressione propriamente detta che non a caso, nella seconda parte del film, si trasforma in qualcosa d'altro e sfocia in una forma languida e avvolgente di romanticismo dolceamaro, a riprova degli interessi più psicologici che clinici del regista. Ottima anche la fotografia di Pavel Lebeshev.