Confinato in un ospizio per anziani, l'ingenuo e infantile Pinocchio (Francesco Nuti) viene rintracciato dal padre Brando (Joss Ackland), che lo porta in America e cerca di rieducarlo. Refrattario a ogni tipo di imposizione, l'uomo tenterà una fuga impossibile, accompagnato dalla ricercata Lucy Light (Chiara Caselli). 

Francesco Nuti si lancia in una personalissima rilettura della celebre fiaba collodiana, tratteggiando l'iter di una maturazione tanto traumatica quanto necessaria, in quello che è il suo film più sentito e che ne decretò drammaticamente il declino artistico. Confuso apologo sull'aridità del cuore e sulla logica del profitto, «depositi di miserie umane», e inno all'idiozia sapiente (il protagonista si presenta come una sorta di Candide contemporaneo), OcchioPinocchio è contraddistinto da una desolante banalità di contenuti, unita alla gratuità di uno stile totalmente pretestuoso: arditi stacchi di un montaggio frammentario, movimenti inconsulti della macchina da presa con ossessive carrellate verticali e laterali, coreografici inseguimenti in auto (non manca nemmeno una citazione da The Blues Brothers, realizzato da John Landis nel 1980), il tutto a testimoniare l'estrema povertà narrativa di un'opera destinata al collasso e al fallimento. Sceneggiatura (firmata dal regista con Giovanni Veronesi e Ugo Chiti) ai minimi sindacali, tensioni interne che incisero profondamente sulle interpretazioni (tra Nuti e Chiara Caselli non correva buon sangue) e infinite traversie produttive: un'ecatombe resa ancor più amara dalle aspirazioni del suo autore. Anche se la dichiarata ingenuità della struttura filmica e alcuni sprazzi di toccante poesia non possono fare a meno di suscitare una profonda tenerezza. Victor Cavallo è il direttore dell'ospizio; musiche di Giovanni Nuti, fotografia di Maurizio Calvesi.