One More Time with Feeling
One More Time with Feeling
2016
Paese
Gran Bretagna
Genere
Documentario
Durata
112 min.
Formati
Colore, Bianco e Nero
Regista
Andrew Dominik
Attore
Nick Cave
Il regista Andrew Dominik documenta la registrazione dell’album Skeleton Tree di Nick Cave and the Bad Seeds, ma al contempo affronta insieme al cantautore australiano i demoni, le angosce e le conseguenze della tragica morte del figlio quindicenne.
A quattro anni di distanza da Cogan – Killing Them Softly, il regista Andrew Dominik dirige per la prima volta un documentario (e per di più in 3D): protagonista, l’amico Nick Cave, con cui aveva collaborato in L'assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford (2007). One More Time with Feeling è una pellicola in cui tutti gli elementi sono perfettamente bilanciati e amalgamati: le interviste, le canzoni e le immagini degli ambienti si alternano facendo sprofondare lo spettatore nelle inquietudini vissute dall'artista. Più che un making of, un percorso anti narrativo nell’inconscio di un Nick Cave dilaniato dal dolore, i cui capisaldi sono stati spazzati via dal terribile evento. Il ritratto familiare ha la medesima importanza di quello musicale e, anzi, i testi dei brani rendono ancor più crudo e straziante il ricordo (elegantemente mai descritto) di una tragedia tanto incomprensibile quanto inaccettabile, il cui non-senso può condurre solo all'accettazione. Fotografato da Benoît Debie (lo stesso di Spring Breakers del 2012) e Alwin H. Küchler in un bianco e nero ad altissimo contrasto, il film vanta una messa in scena ipnotica e in grado di rendere protagoniste le luci e le ombre dei vari contesti. Dominik non sbaglia quando decide di affidarsi al 3D, capace di attraversare spazi e corpi abbattendo definitivamente le barriere emotive tra pubblico e personaggi in scena, così come azzecca la scelta di far commentare alcune riprese dallo stesso Cave. E l'accompagnamento, sui titoli di coda, del brano Deep Water (composto da Marianne Faithfull con Cave e il figlio scomparso Arthur) rende ancor più amaro un intimo racconto sull’accidentalità dell’arte e sulla volubilità della vita. Presentato fuori concorso alla Mostra di Venezia 2016.
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