Out Stealing Horses
Ut og stjæle hester
2019
Paesi
Norvegia, Svezia, Danimarca
Genere
Drammatico
Durata
122 min.
Formato
Colore
Regista
Hans Petter Moland
Attori
Stellan Skarsgård
Bjørn Floberg
Tobias Santelmann
Pål Sverre Hagen
Jon Ranes
Norvegia, 1999. Trond (Stellan Skarsgård), in seguito alla morte della moglie, si ritira in un piccolo villaggio isolato tra le montagne, cercando di dare un senso alla propria angoscia interiore. I suoi traumi hanno un'origine lontana, da rintracciare nel 1948 durante alcuni mesi di lavoro nei boschi scandinavi insieme al padre (Tobias Santelmann)...
Trasponendo sullo schermo il romanzo omonimo del 2003 di Per Petterson, diventato un best-seller in tutto il mondo, Hans Petter Moland ha scritto e diretto un dramma intimo che, sulla base di una cornice fredda e distaccata, ambientata a pochi giorni dall'inizio del nuovo millennio, attinge a piene mani nel mélo carico di emotività, in cui pulsioni sentimentali, legami famigliari e sottotesti storici occupano un ruolo di assoluto rilievo. Un racconto di ampio respiro, che parte da un periodo storico recente ben preciso (quello che doveva essere il "Millennium Bug"), visto come un'epoca di chiusura e isolamento, per condurre lo spettatore indietro nel tempo, verso orizzonti completamente diversi sia dal punto di vista del paesaggio (autentico co-protagonista), sia dal punto di vista delle relazioni umane. La complessità dell'intreccio viene a galla non senza soluzioni meccaniche o ridondanti, attraverso continui flashback che a volte non aggiungono dettagli particolarmente significativi alla narrazione. Trond, interpretato con buona intensità da Stellan Skarsgård, ha un ruolo di assoluto rilievo quando sono in scena gli avvenimenti legati al passato ed è interpretato dal giovane e bravissimo Jon Ranes, diventando portatore di innumerevoli dinamiche interiori che coinvolgono anche molti altri personaggi secondari. Tra carenza affettiva, repressione, dolore e senso di responsabilità, il film sembra voler far convivere diverse anime contrastanti, con la conseguenza di sacrificare l'omogeneità d'insieme. La regia, di alto livello, regala momenti notevoli soprattutto nella prima parte, quando passato e presente vivono di ellissi e di sottili rimandi narrativi. Purtroppo, a causa di una scrittura sempre più ridondante, nella seconda parte i passaggi poco calibrati prendono il sopravvento, e il buon potenziale espresso in precedenza rischia di passare in secondo piano. In ogni caso, un esempio più che discreto di cinema per il grande pubblico con ambizioni autoriali. Presentato in concorso al Festival di Berlino 2019.
Trasponendo sullo schermo il romanzo omonimo del 2003 di Per Petterson, diventato un best-seller in tutto il mondo, Hans Petter Moland ha scritto e diretto un dramma intimo che, sulla base di una cornice fredda e distaccata, ambientata a pochi giorni dall'inizio del nuovo millennio, attinge a piene mani nel mélo carico di emotività, in cui pulsioni sentimentali, legami famigliari e sottotesti storici occupano un ruolo di assoluto rilievo. Un racconto di ampio respiro, che parte da un periodo storico recente ben preciso (quello che doveva essere il "Millennium Bug"), visto come un'epoca di chiusura e isolamento, per condurre lo spettatore indietro nel tempo, verso orizzonti completamente diversi sia dal punto di vista del paesaggio (autentico co-protagonista), sia dal punto di vista delle relazioni umane. La complessità dell'intreccio viene a galla non senza soluzioni meccaniche o ridondanti, attraverso continui flashback che a volte non aggiungono dettagli particolarmente significativi alla narrazione. Trond, interpretato con buona intensità da Stellan Skarsgård, ha un ruolo di assoluto rilievo quando sono in scena gli avvenimenti legati al passato ed è interpretato dal giovane e bravissimo Jon Ranes, diventando portatore di innumerevoli dinamiche interiori che coinvolgono anche molti altri personaggi secondari. Tra carenza affettiva, repressione, dolore e senso di responsabilità, il film sembra voler far convivere diverse anime contrastanti, con la conseguenza di sacrificare l'omogeneità d'insieme. La regia, di alto livello, regala momenti notevoli soprattutto nella prima parte, quando passato e presente vivono di ellissi e di sottili rimandi narrativi. Purtroppo, a causa di una scrittura sempre più ridondante, nella seconda parte i passaggi poco calibrati prendono il sopravvento, e il buon potenziale espresso in precedenza rischia di passare in secondo piano. In ogni caso, un esempio più che discreto di cinema per il grande pubblico con ambizioni autoriali. Presentato in concorso al Festival di Berlino 2019.
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