La passeggera
Pasazerka
1963
Paese
Polonia
Generi
Drammatico, Guerra
Durata
62 min.
Formato
Bianco e Nero
Regista
Andrzej Munk
Attori
Aleksandra Śląska
Anna Ciepielewska
Janusz Bylczynski
Liza (Aleksandra Śląska), in crociera di ritorno in Europa con il marito, pensa di riconoscere in un’altra passeggera Marta (Anna Ciepielewska), la prigioniera che aveva scelto come braccio destro durante il suo periodo di sorvegliante ad Auschwitz.
Il trattato della torbida relazione tra una guardiana algida e all’apparenza imperturbabile, e una prigioniera costretta a ubbidire per salvarsi la vita. Egoisticamente, Liza cerca di risvegliare in Marta un sentimento di gratitudine, volendo provare a se stessa di non avere niente a che fare con l’orrore dell’Olocausto. La sfrontatezza di Marta crea sempre più tensione, fino a quando, anni dopo, è Liza a sentirsi sotto esame e si vede costretta a svelare il suo passato al marito. La prematura morte del regista non ha permesso il completamento del film: una voce narrante e delle fotografie ovviano alle sequenze mancanti. Ben lontana dal sembrare una pezza di fortuna, questa scelta dona al film un’aura straniante di (finto) documentario, cristallizzando il presente in singoli fotogrammi, mentre il passato scorre fluido tra il dramma della prigionia e piccoli gesti (mai gratuiti) di umanità. Una regia severa come la sua protagonista lascia la violenza più grande sullo sfondo, o direttamente fuori scena, suggerendo soltanto quello che avviene dietro le quinte del campo di concentramento. Quelli che vengono filmati sono episodi in cui è la violenza psicologica a farla da padrona, umiliando le prigioniere con malcelato sadismo. Tratto da uno scritto di Zofia Posmysz, reale sopravvissuta ad Auschwitz.
Il trattato della torbida relazione tra una guardiana algida e all’apparenza imperturbabile, e una prigioniera costretta a ubbidire per salvarsi la vita. Egoisticamente, Liza cerca di risvegliare in Marta un sentimento di gratitudine, volendo provare a se stessa di non avere niente a che fare con l’orrore dell’Olocausto. La sfrontatezza di Marta crea sempre più tensione, fino a quando, anni dopo, è Liza a sentirsi sotto esame e si vede costretta a svelare il suo passato al marito. La prematura morte del regista non ha permesso il completamento del film: una voce narrante e delle fotografie ovviano alle sequenze mancanti. Ben lontana dal sembrare una pezza di fortuna, questa scelta dona al film un’aura straniante di (finto) documentario, cristallizzando il presente in singoli fotogrammi, mentre il passato scorre fluido tra il dramma della prigionia e piccoli gesti (mai gratuiti) di umanità. Una regia severa come la sua protagonista lascia la violenza più grande sullo sfondo, o direttamente fuori scena, suggerendo soltanto quello che avviene dietro le quinte del campo di concentramento. Quelli che vengono filmati sono episodi in cui è la violenza psicologica a farla da padrona, umiliando le prigioniere con malcelato sadismo. Tratto da uno scritto di Zofia Posmysz, reale sopravvissuta ad Auschwitz.
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