L'agguerrita e avida Regina (Bette Davis) è sposata al buon Horace (Herbert Marshall), ma non riesce a sopportare i privilegi patrimoniali detenuti dai due fratelli maschi. Irritata dal comportamento serafico del marito, Regina lo lascia morire di crepacuore quando questi si rifiuta di aiutarla a ricattare i fratelli a seguito di un losco affare. Fortemente studiato dal critico André Bazin, secondo il quale il film – insieme a I migliori anni della nostra vita (1946) – sintetizzava alla perfezione lo stile di regia «dialettico» di Wyler, Piccole volpi è uno straordinario compendio di grande cinema. Ogni elemento tecnico e artistico concorre a fare dell'opera uno stendardo quasi ineguagliabile per i canoni della Hollywood dei grandi Studios. Wyler prende ispirazione dall'omonima pièce scritta da Lillian Hellman e messa in scena per la prima volta nel 1939, ma il suo è un lavoro di grande estetica cinematografica che col palcoscenico ha ben poco a che fare. Teatro filmato e film teatrale, infatti, sono espressioni che invecchiano e deperiscono simultaneamente, davanti a Piccole volpi. Il regista dimostra una straordinaria abilità nella composizione delle immagini e nel posizionare i corpi dei personaggi all'interno dell'inquadratura: basti pensare alla morte di Horace, sfocato in secondo piano mentre si aggrappa a tendaggi e tavolini, mentre Regina macina la sua reazione in un memorabile primo piano. Bette Davis, all'apice del fulgore artistico, incarna il prototipo imbattibile dell'attrice di razza. Fotografia di Gregg Toland. Candidato a dieci Oscar, non vinse nemmeno una statuetta.