Pietà
Pieta
2012
Paese
Corea del Sud
Genere
Drammatico
Durata
105 min.
Formato
Colore
Regista
Kim Ki-duk
Attori
Lee Jung-jin
Jo Min-soo
Kang Eunjin
Cho Jae-ryong
Lee Myeong-ja
Heo Jun-seok
Kwon Se-in
Song Mun-su
Kim Beom-jun
Son Jong-hak
Gang-do (Lee Jung-jin) è un trentenne di Seul estremamente silenzioso e violento. Alle dipendenze di uno strozzino, sbriga il lavoro sporco della riscossione dei debiti. Un compito che spesso si trasforma in pestaggi e intimidazioni fisiche, quando gli insolventi non riescono a restituire il denaro. Lentamente, ma inesorabilmente, nella vita di Gang-do si affaccia Mi-seon (Jo Min-soo), donna di mezza età altrettanto misteriosa, che afferma di essere sua madre. Dopo l'iniziale diffidenza, Gang-do comincia a dar credito a Mi-seon, attuando una progressiva trasformazione interiore del suo modo di guardare il mondo.
Appurato che nella carriera del coreano Kim Ki-duk esista un “prima” e un “dopo”, con la crisi avvenuta in seguito a Dream (2008), occorre altresì notare come Pietà sia il miglior risultato del nuovo corso del regista eremita. In primis, a colpire è la caratterizzazione data ai personaggi, scritta con cura sin dalle prime sequenze: la violenza dell'esattore protagonista è feroce e smodata, così come la sottomissione della madre supera ampiamente la soglia del masochismo. L'opera mette sul piatto una cattiveria e una disperazione simboliche e significative, necessarie – come afferma lo stesso Kim – per «resistere alla crudeltà del capitalismo che uccide gli esseri umani». Lo sguardo nei confronti della “sua” Corea si fa aspro, la società sfrutta se stessa ed è dominata da un determinismo che degrada e umilia. Al netto di un certo auto-compiacimento della messinscena, il messaggio arriva forte e chiaro, veicolato sia da un'ambientazione lugubre che rimanda sempre allo strazio fisico (le saracinesche metalliche, le tagliole, gli spazi angusti), sia da una simbologia cristiana coraggiosamente intrisa di sessualità. Non a caso il titolo – come sottolinea anche la locandina italiana del film – fa esplicito riferimento alla Pietà di Michelangelo Buonarroti. Splendidi i minuti finali. Meritatamente premiato con il Leone d'oro alla 69ª Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia.
Appurato che nella carriera del coreano Kim Ki-duk esista un “prima” e un “dopo”, con la crisi avvenuta in seguito a Dream (2008), occorre altresì notare come Pietà sia il miglior risultato del nuovo corso del regista eremita. In primis, a colpire è la caratterizzazione data ai personaggi, scritta con cura sin dalle prime sequenze: la violenza dell'esattore protagonista è feroce e smodata, così come la sottomissione della madre supera ampiamente la soglia del masochismo. L'opera mette sul piatto una cattiveria e una disperazione simboliche e significative, necessarie – come afferma lo stesso Kim – per «resistere alla crudeltà del capitalismo che uccide gli esseri umani». Lo sguardo nei confronti della “sua” Corea si fa aspro, la società sfrutta se stessa ed è dominata da un determinismo che degrada e umilia. Al netto di un certo auto-compiacimento della messinscena, il messaggio arriva forte e chiaro, veicolato sia da un'ambientazione lugubre che rimanda sempre allo strazio fisico (le saracinesche metalliche, le tagliole, gli spazi angusti), sia da una simbologia cristiana coraggiosamente intrisa di sessualità. Non a caso il titolo – come sottolinea anche la locandina italiana del film – fa esplicito riferimento alla Pietà di Michelangelo Buonarroti. Splendidi i minuti finali. Meritatamente premiato con il Leone d'oro alla 69ª Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia.
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