Due bimbe di sei e sette anni spariscono nel nulla. I loro genitori ovviamente non rimangono indifferenti e la sparizione delle proprie figlie farà venir fuori nevrosi e fragilità, scoperchiando tensioni e debolezze. Il detective Loki (Jake Gyllenhaal) conduce le indagini, ma anche il padre di una delle piccole, Keller Dover (Hugh Jackman), è deciso a fare luce sull'orribile accaduto.
Primo film americano girato dal canadese Denis Villeneuve, Prisoners è un dramma ombroso, giocato su corde tragiche piuttosto tese ed estreme, che plasma in maniera autonoma e originale i canoni psicologici e le dinamiche narrative, alzando continuamente la posta in gioco e lavorando sull'attesa dello spettatore. Villeneuve è indubbiamente un regista capace di far propri gli elementi foschi insiti nelle proprie storie e di volgerli a suo favore, trasponendo vicende apparentemente ordinarie con cupezza calcolata e facendo leva sulle proprie ottime capacità di direttore d'attori e di regista d'ambienti. Una pellicola che parla di perdita dell'innocenza e dell'incapacità di riconoscersi anche tra congiunti e conviventi; tuttavia l'accanimento dell'autore sul retroterra morale e sul riscatto dei suoi personaggi è troppo calcato e insistito per convincere appieno, e in qualche caso denota il fiato corto di una sceneggiatura (di Aaron Guzikowski) un po' zavorrata dalle proprie ambizioni. Un limite che però non inficia più di tanto la tetra efficacia di uno spaccato familiare coinvolgente e chiaroscurale, in cui niente è come sembra e la mano del regista dà l'idea di agire il più delle volte in piena autocoscienza. Un'ostinazione più che in parte positiva, che riesce perfino a giustificare la durata non indifferente, fuori formato rispetto al cinema hollywoodiano medio contemporaneo. Gran parte del fascino del film è dovuto alla clamorosa fotografia di Roger Deakins.