La televisione annuncia una imminente catastrofe che annienterà la specie umana. L'attore Cisco (Willem Dafoe) si trova nel suo appartamento di New York: fa l'amore con la compagna pittrice Skye (Shanyn Leigh), medita e ascolta guru buddisti, saluta i conoscenti via Skype e va a trovare gli amici vicini. Nell'ora della verità, non cede alla disperazione di chi si suicida ma nemmeno si illude che sia tutta una burla: non gli resta che rifugiarsi in un ultimo abbraccio con l'amata. L'Apocalisse vista dal buco della serratura: non fosse per la carriera e il mestiere del regista e per l'abnegazione con cui Dafoe si dona anche a questa pellicola, non si esiterebbe a definirla una sonora presa in giro. Conoscendo Ferrara, invece, è anche possibile che si tratti di una riflessione seria sul dilemma delle ultime ore da vivere che siano personali, artistiche o di una razza intera. Ma se la fotografia notturna e la messa in scena elementare fanno quasi perdonare l'uso di riprese digitali non eccelse, il materiale d'archivio usato per inscenare la fine del mondo è imperdonabile. Tra fiaccolate, preghiere, fuochi d'artificio e sproloqui, siamo più dalle parti del blob televisivo che da quelle del cinema d'autore. Quando alla mancanza di mezzi (evidente), si aggiunge la carenza di idee non si chiede geniali, ma almeno originali, c'è poco da stare allegri. Alla fine il pezzo migliore risulta lo scarno comunicato TV dello speaker (Pat Kiernan), con la memorabile massima «Al Gore aveva ragione»: detto tutto. Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, ma rimasto inedito in sala.