Guidato da Geoffrey Chaucer (Pier Paolo Pasolini), un gruppo di pellegrini in viaggio per Canterbury si racconta otto storie licenziose.
Secondo episodio della pasoliniana “Trilogia della vita” (dopo Il Decameron del 1971 e prima de I fiori delle mille e una notte del 1974), serie di tre film tratti da opere scritte prima della “controriforma” cattolica del XVI secolo, attraverso cui il regista friulano intendeva andare a toccare i nervi della sessuofobia conservatrice che animava l'Italia degli anni '70. Come nelle altre due pellicole, dunque, Pier Paolo Pasolini spinge sul pedale della commedia grottesca e birbona, cercando di infondere nello spettatore moderno il senso di gaiezza e libertà che caratterizzava l'approccio al sesso, secondo il regista, nel basso Medioevo. Tuttavia, in questo caso, l'occhio di Pasolini sul sesso non è mai liberatorio e coinvolgente, quanto piuttosto freddo, squallido e leggermente perverso, dando così vita a una pellicola che, in fin dei conti, manca il bersaglio. Inoltre, se l'umorismo pasoliniano è riuscito a legarsi bene con la boccacesca atmosfera da “porcellonata” medievale e troverà un'intesa poetica anche con il clima delle novelle mediorientali, l'operazione non funziona con il sottile humor britannico di Chaucer, scadendo spesso nel cattivo gusto. Nonostante ciò, ebbe anch'esso un buon successo di pubblico e vinse, a sorpresa, l'Orso d'oro al Festival di Berlino.