Olimpiadi di Berlino, 1936. In pieno regime nazista, la squadra statunitense decise di inviare l’afroamericano Jesse Owens (Stephan James) a concorrere: ci volle la mediazione di Avery Brundage (Jeremy Irons) per evitare l’incidente diplomatico e Owens finì per portare a casa quattro ori (100 metri, 200 metri, staffetta 4x100 e salto in lungo), umiliando le politiche razziste hitleriane.

Uno straordinario episodio della storia contemporanea, uno dei momenti entrati nell’immaginario collettivo, con il grande atleta di colore che sfida il Führer seduto in tribuna passandogli davanti trionfante. Una vicenda eccezionale che si scrive da sé, devono aver pensato gli autori di Race – Il colore della vittoria… e infatti non hanno messo molto impegno nella costruzione del lungometraggio. Forti di una materia efficace, regista (Stephen Hopkins, già noto per il non brillante biopic dedicato a Peter Sellers, Tu chiamami Peter del 2004) e sceneggiatori (Joe Shrapnel e Anna Waterhouse) scelgono la strada più facile, costruendo un racconto piatto, che approfondisce poco la personalità di Owens e preferisce fare leva sugli aspetti più retorici e populisti, veicolando un generico messaggio di no al razzismo da campagna per il sociale, senza però toccare e coinvolgere veramente. Fa bene James nei panni dell’atleta, supportato da un cast discreto (tra cui spicca Carice van Houten nel ruolo della regista “del Führer” Leni Riefenstahl), ma la sensazione finale, soprattutto considerando che si tratta della prima trasposizione cinematografica dedicata a questo celeberrimo momento storico, è quella di essere davanti a un’occasione totalmente sprecata. Curiosità: il ruolo di Owens era stato inizialmente offerto a John Boyega, che rifiutò per partecipare a Star Wars – Il risveglio della Forza (2015).