Stoccolma. Durante una rapina alla banca centrale, Lars Nystrom (Ethan Hawke) prende in ostaggio alcuni impiegati per far rilasciare il suo amico Gunnar (Mark Strong) dalla prigione. Man mano che le ore si trasformano in giorni, gli ostaggi sviluppano un complesso rapporto con il loro rapitore, soprattutto Bianca (Noomi Rapace), moglie e madre di due bambini.
Crime comedy d’ambientazione svedese, al servizio del racconto di eventi realmente accaduti che portarono alla definizione della cosiddetta “sindrome di Stoccolma” (il sentimento di amore maturato dalle vittime verso i propri aguzzini), Rapina a Stoccolma è uno sfiatato thriller dalle venature ironiche che si avvale di interpretazioni appena sufficienti e di una confezione che fatica a creare la giusta dose di tensione e interesse, soprattutto a causa di una narrazione che scorre via con il minimo sindacale di sussulti e spunti significativi. Gli attori, a cominciare da un Ethan Hawke provvisto di zazzera e da un’occhialuta Noomi Rapace, si limitano a timbrare il cartellino, ben protetti dal travestimento d’epoca che li mette al riparo da ogni rischio ma impedisce al contempo alle loro interpretazioni di farsi largo oltre il mascheramento obbligato e a conti fatti un po’ posticcio. Il presunto surrealismo dei dialoghi non acquisisce mai una statura significativa e anche i riferimenti all’America degli anni ‘70 e l’utilizzo piatto di Bob Dylan in colonna sonora sanno di mera tappezzeria. Il film prende spunto dalla rapina avvenuta nel 1973 presso la Kreditbank di Stoccolma, dove un uomo prese in ostaggio tre dipendenti della banca. Il fatto divenne un caso mediatico non solo perché a essere colpita fu una delle più importanti banche del paese, ma soprattutto per via dello strano e assurdo legame che si instaurò tra il rapinatore e gli ostaggi, cambiando completamente le vite di questi ultimi e sovvertendone i più intimi equilibri.