Salvatore Giuliano
1962
Paese
Italia
Generi
Drammatico, Biografico
Durata
123 min.
Formato
Bianco e Nero
Regista
Francesco Rosi
Attori
Frank Wolff
Salvo Randone
Federico Zardi
Pietro Cammarata
Il 5 luglio del 1950 il cadavere del bandito Giuliano è rinvenuto, riverso al suolo, nel cortile di una abitazione privata a Castelvetrano. Nei cinque anni precedenti, sono stati piuttosto intensi i suoi rapporti con i movimenti separatisti siciliani, con la mafia e con emissari del governo centrale. Nei dieci anni successivi processi e indagini tentano di far luce sulla sua morte.
Partendo da un minuzioso lavoro di ricerca sul campo, il film di Rosi, prototipo del film-inchiesta e momento culminante della carriera dell'autore napoletano, riuscì nella non facile impresa di trasfigurare l'arido dato di cronaca in una forma cinematografica di grande impatto spettacolare. La narrazione, costruita per tasselli accostati, non segue un ordine lineare ma, anzi, comincia (con una geniale intuizione) esattamente dalla fine di Giuliano. Il nastro degli eventi che anticipano e seguono questo episodio si snoda poi lungo un arco di tempo che copre 15 anni di storia, in un montaggio che procede per salti, con ripetuti avanzamenti e ripiegamenti cronologici. Pur facendosi portavoce della documentata verità processuale, le ipotesi che Rosi fa emergere dalle oscure trame di questa vicenda vanno a collocarsi in un quadro d'insieme molto più ampio di connivenze tra stato e potere mafioso, lo stesso che sarà evocato dal regista in film successivi come Il caso Mattei (1972) e Lucky Luciano (1973). Molta della potenza espressiva del film deriva dal suo senso di autenticità storica: girato nei luoghi dove Giuliano aveva vissuto, nella piana di Montelepre, utilizzando per gli assalti armati i veri fucili e cannoni della banda, coinvolse nelle riprese abitanti del luogo che avevano conosciuto direttamente il bandito. Tra i grandiosi contributi tecnici non può non essere menzionata la straordinaria fotografia di Gianni Di Venanzo. Strepitosa, inoltre, la scelta di non mostrare mai Giuliano chiaramente (almeno da vivo), così da rendere ancor più leggendaria, misteriosa e fin fantasmatica la sua figura: più che un biopic su di lui, così, la pellicola si trasforma in una grande riflessione sulla Sicilia e sulla sua tormentata Storia nel periodo che è seguito alla Seconda guerra mondiale. Respinto dai selezionatori della Mostra del Cinema di Venezia perché ritenuto troppo simile a un documentario, conquistò un meritatissimo Orso d'argento a Berlino per la miglior regia.
Partendo da un minuzioso lavoro di ricerca sul campo, il film di Rosi, prototipo del film-inchiesta e momento culminante della carriera dell'autore napoletano, riuscì nella non facile impresa di trasfigurare l'arido dato di cronaca in una forma cinematografica di grande impatto spettacolare. La narrazione, costruita per tasselli accostati, non segue un ordine lineare ma, anzi, comincia (con una geniale intuizione) esattamente dalla fine di Giuliano. Il nastro degli eventi che anticipano e seguono questo episodio si snoda poi lungo un arco di tempo che copre 15 anni di storia, in un montaggio che procede per salti, con ripetuti avanzamenti e ripiegamenti cronologici. Pur facendosi portavoce della documentata verità processuale, le ipotesi che Rosi fa emergere dalle oscure trame di questa vicenda vanno a collocarsi in un quadro d'insieme molto più ampio di connivenze tra stato e potere mafioso, lo stesso che sarà evocato dal regista in film successivi come Il caso Mattei (1972) e Lucky Luciano (1973). Molta della potenza espressiva del film deriva dal suo senso di autenticità storica: girato nei luoghi dove Giuliano aveva vissuto, nella piana di Montelepre, utilizzando per gli assalti armati i veri fucili e cannoni della banda, coinvolse nelle riprese abitanti del luogo che avevano conosciuto direttamente il bandito. Tra i grandiosi contributi tecnici non può non essere menzionata la straordinaria fotografia di Gianni Di Venanzo. Strepitosa, inoltre, la scelta di non mostrare mai Giuliano chiaramente (almeno da vivo), così da rendere ancor più leggendaria, misteriosa e fin fantasmatica la sua figura: più che un biopic su di lui, così, la pellicola si trasforma in una grande riflessione sulla Sicilia e sulla sua tormentata Storia nel periodo che è seguito alla Seconda guerra mondiale. Respinto dai selezionatori della Mostra del Cinema di Venezia perché ritenuto troppo simile a un documentario, conquistò un meritatissimo Orso d'argento a Berlino per la miglior regia.
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