La storia vera di Jorge Valenzuela Torres (Nelson Villagra), tra i più famosi assassini cileni: dall’infanzia in miseria, al vagabondaggio criminale, fino alla cattura e alla fucilazione.

Per mettere in scena uno dei casi di cronaca nera più emblematici della storia del Cile, Miguel Littin sceglie di seguire fedelmente le carte del processo e gli articoli d’epoca. Lo stile però, soprattutto nella prima parte, non segue la cronologia precisa, frammentando il racconto seguendo i ricordi di Jorge, che affiorano man mano che le domande delle istituzioni incalzano. Lo spettatore quindi si immerge nella confusione mentale di un uomo ignorante, ubriacone e abbandonato a se stesso da una società che non sa gestire i suoi individui più poveri, se non quando è troppo tardi. Nella seconda parte, sicuramente più canonica, si mostra infatti come il sistema carcerario riesca a riformare Jorge, insegnandogli un mestiere e alfabetizzandolo, nonostante non cambi il destino dell’uomo. Il caso (che precede solo di pochi anni il film) suscitò molto dibattito in Cile sul tema della pena di morte e sulla sua applicazione, sottolineando l’ipocrisia di un sistema riformatore che però non permetteva un reinserimento in società. Villagra regala un’interpretazione mimetica che fa funzionare il film anche nei passaggi meno ispirati.