Martin Scorsese racconta il cinema americano dalle origini agli albori della New Hollywood: un percorso personale in cui i cenni autobiografici si fondono con la passione cinefila e con l'amore per i generi, i registi e soprattutto i film. Scorsese analizza alcune delle pellicole da lui ritenute più significative, seguendo una distinzione tra tre diverse tipologie di registi: il regista illusionista, che ha creato nuove tecniche di montaggio tra altre innovazioni di suono e colore utilizzate negli anni successivi; il regista imbroglione, che ha nascosto un messaggio sovversivo nei suoi film; il regista iconoclasta, che ha attaccato il conformismo estetico e sociale.
Opera monumentale (quasi quattro ore di durata e oltre cento film presi in esame) concepita per celebrare i primi cento anni di vita della settima arte, il documentario diretto da Scorsese e Michael Henry Wilson è un atto d'amore verso il cinema di notevole valore didattico, arricchito da una sconfinata conoscenza e da uno sguardo sempre brillante, fecondo e anticonvenzionale sul mondo di celluloide. Focalizzandosi sui generi preferiti come il western, il musical o il gangster movie, il regista di Taxi Driver (1976) e Toro Scatenato (1980) sa trasmettere l'entusiasmo della propria dedizione cinefila, celebra autori considerati minori ma di incredibile ricchezza e valore espressivo (da André de Toth a Samuel Fuller, passando per Ida Lupino e Jacques Tourneur), ricorda i suoi maestri (da Elia Kazan a Nicholas Ray, fino a John Ford, Billy Wilder e Orson Welles) e dà vita a riflessioni inedite su capisaldi consolidati (notevoli in tal senso gli spunti sul genere kolossal o sul melodramma). Una testimonianza sentita, coinvolgente e priva di qualsiasi retorica o eccesso didascalico, ma sempre pregnante e sorprendente, originale e avvincente. La narrazione unisce spezzoni di film, interviste di repertorio a grandi registi del passato e altre a contemporanei (e amici) di Scorsese come Coppola, Lucas, Eastwood o De Palma, e si ferma a Gangster Story (1967) di Arthur Penn e Volti (1963) di John Cassavetes, emblemi dell'inizio della nuova età dell'oro di Hollywood (a cavallo tra la fine degli anni '60 e l'inizio dei '70) che il regista italoamericano sceglie di non trattare, in quanto parte in causa in prima persona. In conclusione, Scorsese si scusa per quegli autori che non ha potuto citare o che ha solo sfiorato: da Ernst Lubitsch a Joseph L. Mankiewicz, da John Huston ad Alfred Hitchcock, da Preston Sturges a William Wyler. Trasmesso in Italia per la prima volta solo nel 1999.