Brandon (Michael Fassbender) è un affascinante e stimato professionista newyorkese afflitto da una forte sessuomania che sfoga in incontri occasionali e nella dipendenza da materiale pornografico, senza riuscire a costruire veri rapporti interpersonali. L'arrivo in città della sorella Sissy (Carey Mulligan), problematica e autolesionista, aumenta ulteriormente i suoi problemi.
Presentato alla 68ª Mostra di Venezia, conferma il talento non comune di McQueen, che al suo secondo film realizza un'opera solo apparentemente agli antipodi rispetto all'esordio. Shame è complementare ad Hunger (2008) perché è la prosecuzione di un lavoro di straordinario iperrealismo sul corpo, imprigionato (in un carcere fisico o mentale), spogliato, martoriato, mostrato senza pudori. La sensibilità visuale dell'autore (anche videoartista) migra dalle opprimenti celle nordirlandesi agli asettici interni di una New York tutt'altro che turistica e si giova di un mostruoso Fassbender (premiato a Venezia con la Coppa Volpi) che, nell'inesorabile discesa agli inferi di Brandon, accetta di sottoporsi a ogni genere di perversione, impressionando per come riesca a mettere a nudo l'anima del personaggio. La sua corsa notturna sulle strade newyorkesi è una scena che dà i brividi, oltre a confermare la bravura di McQueen nei piani-sequenza. La Mulligan, da parte sua, è immensa coprotagonista, capace di disarmare lo spettatore con un sorriso o intonando la più dolorosa versione di New York, New York mai sentita.