Lungo il corso dei secoli è stata tramandata in oriente la leggenda dei Dieci Anelli e di colui che li brandisce, il Mandarino (Tony Leung). Dall’altra parte del mondo, negli Stati Uniti, Shang-Chi (Simu Liu) e Katy (Awkwafina) lavorano come parcheggiatori di un resort di lusso, ma tutto viene bruscamente compromesso dall’arrivo di misteriosi criminali. Shang-Chi è costretto a uscire dall’ombra e rivelare la sua vera identità, tornando a fare i conti con il padre e la sua potentissima arma.

Dopo Black Widow, la fase 4 del Marvel Cinematic Universe apre un filone completamente diverso dall’immaginario dei lungometraggi precedenti. Il continente asiatico e le sue leggende offrono a Destin Daniel Cretton l'opportunità di spalancare le porte a una nuova mitologia, più vicina al fantasy che allo sci-fi. Il tema centrale è nuovamente quello della famiglia e delle origini con cui fare i conti: Shang-Chi si muove in equilibrio tra la sporca e potente eredità del Mandarino e la purezza e armonia del villaggio materno. Spettacolari inseguimenti in auto, combattimenti acrobatici tra i palazzi di Macao ed epici scontri con gigantesche creature rendono il film di Cretton un'opera divertente che riesce a mescolare coerentemente azione e fantastico, senza rinunciare alla sguaiata comicità di casa Marvel. Tuttavia, il film risulta a tratti frastornante e confusionario, mentre eccelle il lavoro meticoloso fatto sui costumi e convincono effetti visivi capaci di sorreggere una narrazione che alza, sin troppo, la posta in palio. Il dubbio, come già era stato per lo stand-alone su Natasha Romanoff, è però quello di assistere alla spettacolarizzazione di un racconto debole. Tantissime le informazioni elencate in voice-over e poche le scene in cui conosciamo il protagonista: prendiamo atto della nascita di un nuovo supereroe, con enormi minacce all'orizzonte, ma pochissima empatia e attinenza al personaggio dei fumetti.