Paul (Jacques Dutronc) è diviso tra la moglie (Cécile Tanner) e l'amante (Nathalie Baye): quest'ultima, però, è decisa ad andare a vivere in campagna per diventare una scrittrice, e l'uomo proverà così a riallacciare i rapporti con la consorte. Un incidente cambierà le carte in tavola. Si salvi chi può (La vita) è un nuovo inizio nella carriera di Jean-Luc Godard. Dopo diversi anni passati a sperimentare con il video e dedicati alla militanza politica, il regista di Fino all'ultimo respiro (1960) torna a mettere in scena un film narrativo con attori professionisti. Divisa in cinque tempi come una sinfonia musicale, la pellicola riflette sull'esistenza, sui rapporti di causa-effetto e sulle relazioni umane: alle vicende di Paul e della sua amante si interseca il personaggio di Isabelle, una prostituta interpretata da Isabelle Huppert. Sono figure che tentano vanamente d'inserirsi in un contesto e in un mondo che non li appartiene, e nel quale faticano a trovare un posto. Strutturato attraverso una sorta di geometria simbolica, in cui nel finale tutto arriva a fondersi, Si salvi chi può (La vita) presenta pregi e difetti del cinema di Godard degli anni Ottanta, con una leggera propensione verso i secondi. L'andamento è coinvolgente e gli attori risultano efficaci, ma il tutto risulta più superficiale di quanto sembri, e non sempre i nodi vengono al pettine quando dovrebbero. Tanto fumo e poco arrosto, forse, per una pellicola un po' furbetta che nasconde i suoi limiti dietro una fitta coltre di riferimenti e situazioni contorte. Per la presenza della figura della prostituta – il personaggio più interessante della pellicola – e non solo, appare come una sorta di seguito dello splendido Questa è la mia vita (1962), richiamato fin dal titolo.