Nella Los Angeles del 2008, in un futuro prossimo che somiglia spaventosamente al presente pur apparendo ancor più estremo e farsesco, si alternano le vicende di alcuni personaggi con sullo sfondo alcune tematiche fondamentali per la Storia degli anni duemila, dalla guerra in Iraq alle elezioni presidenziali passando per problematiche ambientaliste e aggressioni di stampo nucleare. «È questo il modo in cui finisce il mondo. Non già con un lamento, ma con un botto». Un film tanto apocalittico e ambizioso quanto fragile e argilloso: Southland Tales è infatti un curioso e sfasato guazzabuglio di stimoli, in bilico tra la provocazione delirante e la pretenziosa trattazione a tutto campo degli argomenti più svariati. Kelly (Donnie Darko, 2001) denota una personalità e uno spirito d'osservazione caustici e fertili, ma anche sterile e inevitabilmente destinato a ripiegarsi su se stessi: nessuno degli elementi del film è dosato a dovere per arrivare compiutamente allo spettatore e il regista sembra davvero non conoscere limiti, tra "riflessioni" belliche e neomarxismo, divi action e pornostar, passando per un continuo rimando visivo a una miriade di schermi interconnessi. Una operazione generosa ma destinata al fallimento, che tenta non senza astuzia di ricollocare figure molto popolari presso il pubblico commerciale all'interno di una specie di tritacarne che metta in discussione il loro stesso status di icone, degradandolo con masochistica ostinazione. La riflessione sull'11/9 è inevitabile per rappresentare il mosaico impazzito di un'America allo sbando. In concorso al Festival di Cannes nel 2006, dove ricevette un'accoglienza tutt'altro che calorosa.