Steve Jobs
Steve Jobs
2015
Paese
Usa
Generi
Biografico, Drammatico
Durata
122 min.
Formato
Colore
Regista
Danny Boyle
Attori
Michael Fassbender
Seth Rogen
Jeff Daniels
Michael Stuhlbarg
Kate Winslet
Makenzie Moss
Katherine Waterston
In prossimità del lancio del Macintosh, nel 1984, Steve Jobs (Michael Fassbender) è impegnato nella messa a punto di un prodotto rivoluzionario cui seguiranno il NeXT e infine l’iMac, rispettivamente nel 1988 e nel 1998. Il fondatore di Apple è circondato da alcuni fidati collaboratori, tra cui Joanna Hoffman (Kate Winslet), ma deve fronteggiare anche le pressanti richieste d’attenzioni da parte di Chrisann Brennan (Katherine Waterston), madre della piccola Lisa, figlia che Jobs non ha voluto riconoscere.
Dopo un biopic fallimentare e deludente come Jobs (2013), dove il protagonista era interpretato da un non pervenuto Ashton Kutcher, è la volta di una nuova biografia per il grande schermo, di ambizioni e tenore ben maggiori, dedicata a Steve Jobs, epocale pioniere della rivoluzione digitale scomparso nel 2011. Il progetto, dopo alcuni assestamenti produttivi e la rinuncia da parte di David Fincher, è finito nelle mani di Danny Boyle, chiamato a dar corpo alla sceneggiatura di Aaron Sorkin tratta dal bestseller Steve Jobs di Walter Isaacson, di fatto il libro più completo, rigoroso e accreditato tra quelli dedicati alla vita dello stesso Jobs. Lo sceneggiatore premio Oscar per The Social Network (2010) confeziona uno script ancora una volta sensazionale, dove emergono meravigliosamente la doppiezza e la mitomania del personaggio, il carisma ma anche le radicali e mai pacificate ambiguità, la visionaria ossessione per le sue creazioni, attraverso le quali cambiare il mondo e la vita delle gente, ma anche le magagne familiari e gli aspetti più inquietanti e controversi del suo temperamento scostante. Sorkin dà vita a un copione ribollente di stimoli, pieno di spunti e di passaggi accattivanti, colmo, ancora una volta, di dialoghi affilati e densissimi, recitati peraltro a mille all’ora da un cast decisamente in forma, che vede Michael Fassbender cavarsela tutto sommato benissimo nei panni del personaggio principale (il mimetismo non è dalla sua, ma il fuoco sacro c’è eccome) e degli interpreti di contorno davvero eccezionali, Kate Winslet e Seth Rogen su tutti (quest’ultimo nei panni del celebre sodale Steve Wozniak). Il film è un tour de force verbale girato come fosse un eterno backstage, un dietro le quinte fluido e in presa diretta delle ossessioni di un genio sibillino, sfaccettato e calcatore. La struttura in tre atti a mo’ di dramma da palcoscenico, che evita così l’impianto “dalla culla alla tomba” dei biopic tradizionali, conferisce all’insieme una dose se possibile ancor maggiore di fascinazione e stratificata originalità, lavorando su tre diversi segmenti, differenti per formato e collocazione temporale, e su sequenze assai ritmate che ben si legano sia alle scene madri che ai passaggi di contorno. La regia di Boyle, che qua e là non rinuncia a split screen fuori posto e a passaggi tipici del suo stile, è però un po’ troppo impersonale e di servizio, si limita a vivacchiare a ridosso della penna affilata di Sorkin e non centra il bersaglio con la stessa forza e lucidità del Fincher del già citato The Social Network, annacquando talvolta il materiale e sbandando su coloriture più retoriche. Fatta eccezione per il finale in crescendo, l’apporto del regista è davvero minimo e sotto il livello di guardia. Inaspettato passo falso al box-office americano. Golden Globe alla Winslet e alla sceneggiatura di Sorkin.
Dopo un biopic fallimentare e deludente come Jobs (2013), dove il protagonista era interpretato da un non pervenuto Ashton Kutcher, è la volta di una nuova biografia per il grande schermo, di ambizioni e tenore ben maggiori, dedicata a Steve Jobs, epocale pioniere della rivoluzione digitale scomparso nel 2011. Il progetto, dopo alcuni assestamenti produttivi e la rinuncia da parte di David Fincher, è finito nelle mani di Danny Boyle, chiamato a dar corpo alla sceneggiatura di Aaron Sorkin tratta dal bestseller Steve Jobs di Walter Isaacson, di fatto il libro più completo, rigoroso e accreditato tra quelli dedicati alla vita dello stesso Jobs. Lo sceneggiatore premio Oscar per The Social Network (2010) confeziona uno script ancora una volta sensazionale, dove emergono meravigliosamente la doppiezza e la mitomania del personaggio, il carisma ma anche le radicali e mai pacificate ambiguità, la visionaria ossessione per le sue creazioni, attraverso le quali cambiare il mondo e la vita delle gente, ma anche le magagne familiari e gli aspetti più inquietanti e controversi del suo temperamento scostante. Sorkin dà vita a un copione ribollente di stimoli, pieno di spunti e di passaggi accattivanti, colmo, ancora una volta, di dialoghi affilati e densissimi, recitati peraltro a mille all’ora da un cast decisamente in forma, che vede Michael Fassbender cavarsela tutto sommato benissimo nei panni del personaggio principale (il mimetismo non è dalla sua, ma il fuoco sacro c’è eccome) e degli interpreti di contorno davvero eccezionali, Kate Winslet e Seth Rogen su tutti (quest’ultimo nei panni del celebre sodale Steve Wozniak). Il film è un tour de force verbale girato come fosse un eterno backstage, un dietro le quinte fluido e in presa diretta delle ossessioni di un genio sibillino, sfaccettato e calcatore. La struttura in tre atti a mo’ di dramma da palcoscenico, che evita così l’impianto “dalla culla alla tomba” dei biopic tradizionali, conferisce all’insieme una dose se possibile ancor maggiore di fascinazione e stratificata originalità, lavorando su tre diversi segmenti, differenti per formato e collocazione temporale, e su sequenze assai ritmate che ben si legano sia alle scene madri che ai passaggi di contorno. La regia di Boyle, che qua e là non rinuncia a split screen fuori posto e a passaggi tipici del suo stile, è però un po’ troppo impersonale e di servizio, si limita a vivacchiare a ridosso della penna affilata di Sorkin e non centra il bersaglio con la stessa forza e lucidità del Fincher del già citato The Social Network, annacquando talvolta il materiale e sbandando su coloriture più retoriche. Fatta eccezione per il finale in crescendo, l’apporto del regista è davvero minimo e sotto il livello di guardia. Inaspettato passo falso al box-office americano. Golden Globe alla Winslet e alla sceneggiatura di Sorkin.
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