Un capitano di una nave mercantile (Gijs Naber), per scommessa, chiederà di sposarlo alla prima donna (Léa Seydoux) che entra nel locale in cui si trova. Sarà l’inizio di una lunga storia d’amore.

Tratto dal romanzo omonimo di Milán Füst, Storia di mia moglie parte da un antefatto molto semplice per raccontare una relazione di coppia complessa, che si modifica, si snatura e prova a rilanciarsi nel corso del tempo. Dopo Corpo e anima del 2017, vincitore dell’Orso d’oro al Festival di Berlino, la regista ungherese Ildikó Enyedi firma una pellicola decisamente meno personale, assecondando la matrice narrativa di partenza e dando vita a un prodotto ben confezionato, ma poco significativo. Si tratta di un melodramma d’altri tempi, girato discretamente e recitato piuttosto bene, ma allo stesso tempo la sensazione è quella di un compitino eseguito in maniera sufficiente, senza troppi guizzi e senza prendersi troppi rischi. Rischi, che specie nella parte finale dimostra una controproducente tendenza alla reiterazione, esasperando in maniera decisamente ostinata tutti i languori, gli sguardi sospesi, le malinconie e le violente contraddizioni in seno vita coniugale accumulati nel corso di una visione tanto seducente quanto ostica e sfiancante, a bella posa e - alla lunga - senza reali motivazioni drammaturgiche a sostegno. Prodotto, tra gli altri, da Rai Cinema, il film vede nel cast anche attori italiani come Sergio Rubini, in un ruolo decisamente eccessivo e sopra le righe, e Jasmine Trinca. Presentato in concorso al Festival di Cannes.