The Watermelon Woman
The Watermelon Woman
1996
Paese
Usa
Generi
Commedia, Drammatico, Sentimentale
Durata
85 min.
Formato
Colore
Regista
Cheryl Dunye
Attori
Cheryl Dunye
Guinevere Turner
Valarie Walker
Cheryl Clarke
Lisa Marie Bronson
Cheryl (Cheryl Dunye) è una filmmaker che lavora in un videonoleggio. Nel frattempo cerca di girare un documentario su un’attrice nera e lesbica degli anni ‘30, “The Watermelon Woman” (Lisa Marie Bronson), e a far funzionare la sua relazione con una donna bianca (Guinevere Turner) senza incrinare i rapporti con la sua amica e collega Tamara (Valarie Walker).

Considerato il primo lungometraggio diretto da una donna nera e lesbica, l’opera prima di Cheryl Dunye è un film con dei passaggi un po' troppo acerbi, ma è comunque un esordio vibrante di idee e intuizioni non banali: la decisione di creare un mockumentary su un’attrice non realmente esistita dà la possibilità alla regista (e interprete protagonista) di ragionare sull’identità femminile, nera e omosessuale fuori e dentro lo schermo. Misoginia, razzismo, omofobia e conseguente invisibilizzazione sono sviscerati senza pedanteria ma anche senza sconti, puntando il dito su una società intrinsecamente disfunzionale, in cui ogni individuo fuori dagli schemi era eliminato o relegato a ruoli prestabiliti e stereotipati: la carne al fuoco è troppa, ma l'autrice riesce a dare equilibrio ai vari ingredienti. Non mancano i momenti più leggeri e divertenti, soprattutto grazie ai siparietti tra amiche, che però nascondono tra le pieghe dei sorrisi certi problemi ancora non risolti all’interno della comunità: ecco infatti che la fidanzata bianca di Cheryl diventa un elemento divisivo, che mina la realtà sociale di Tamara, abituata a un microcosmo nero in cui sentirsi compresa e al sicuro, ma poco permeabile. Molto belli e realistici i “filmati d’archivio” che mostrano il lavoro della regista Martha Page e della Watermelon Woman, così come efficaci sono le interviste che Cheryl raccoglie durante la ricerca di materiale: importante, in questo senso, l’intervista con la vera critica cinematografica Camille Paglia, che risignifica i ruoli degli attori neri (dalle mammies ai watermelon men), non negando la negatività della stereotipizzazione, ma dando allo stesso tempo nuovi spunti d’interpretazione degli stessi ruoli come fondanti per l’identità statunitense tutta. In definitiva, un film fortemente politico che sa però giostrarsi con scaltrezza tra le sue tante implicazioni senza appesantirsi, e che formula con efficacia l’idea che la creazione di storie (anche quando fittizie) sia fondamentale per la formazione di una identità propria. Presentato al Festival di Berlino, dove vinse il Teddy Award per il miglior film a tematica queer.
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